Il tribunale del Riesame disse sì, revocando gli stop disposti dal Gip. E un sì, subordinato all'assenso di Massimo Fabi, venne anche dal rettore. Fu piuttosto il vertice dell'Azienda ospedaliera a chiudere le porte all'ipotesi di rientro nei ruoli di Antonio Mutti. E così ora arrivano le dimissioni del professore, dopo che sembrava quasi scontato il suo reintegro negli incarichi pubblici ricoperti prima di Conquibus, il ciclone che ha portato all’arresto di due persone, tra le quali Franco Aversa, direttore dell'Ematologia del Maggiore, e a 36 indagati. Tra loro, appunto, il direttore del Dipartimento di medicina e chirurgia del Maggiore. A suo carico, ai primi d'ottobre il gip Mattia Fiorentini dispose la sospensione per un anno dallo svolgimento di incarichi pubblici (di docente e di commissario nei concorsi pubblici). Misura interdittiva alla quale si aggiunse poi quella decisa dal comitato dei garanti dell'Azienda ospedaliera, con la sospensione per due anni dall’attività assistenziale svolta nell’unità operativa di Medicina del lavoro e tossicologia industriale.
La svolta per Mutti sembrava venuta con la decisione del Riesame dell'8 novembre. Era un giovedì, e in sostanza si ponevano le basi per il reintegro per il lunedì successivo. Ma le cose hanno preso ben altra piega. E così con una mail venerdì l'ormai ex direttore ha annunciato le proprie dimissioni ai colleghi del Dipartimento «che ho avuto l’onore e l’onere di servire e che spero conservino un buon ricordo di ciò che, pur in tempi difficili, siamo riusciti a fare insieme. Con motivazioni che, se lo vorranno, saranno i diretti interessati a spiegare l’auspicata convergenza tra le due istituzioni (Università e Azienda ospedaliera, ndr) è venuta meno, obbligandomi a prendere in poche ore la decisione di rassegnare le mie dimissioni con effetto immediato». Una scelta che dovrebbe avere come conseguenza la pensione per l'ex docente.
Un lungo allegato accompagna la mail. Ricordato lo scomparso rettore Loris Borghi, Mutti parla di sé. Ribadendo di avere «la coscienza a posto» e di trarre forza dalla «solidarietà di tutti quelli che mi conoscono da vicino».
Mutti si dice poi «pronto a rispondere del mio operato e fiducioso nel corso della giustizia, che non potrà che far emergere la verità, come del resto è successo con le decisioni del Gip di Parma circa l’insussistenza di sufficienti indizi per i capi di imputazione più gravi e del Tribunale del Riesame di Bologna che ha dichiarato incrinata la gravità indiziaria per l’accusa che aveva determinato i provvedimenti cautelari, revocandoli».
«Gli addebiti che mi sono contestati - prosegue l'ex docente - riguardano il mio ruolo di direttore di Dipartimento nella gestione di procedure selettive per il reclutamento universitario. Nel rievocare circostanze e atti degli organi accademici coinvolti, ritrovo solo rafforzata la convinzione di aver sempre agito nel rispetto delle leggi e dei regolamenti, perseguendo il bene del Dipartimento di medicina e chirurgia, dell’Ateneo e dell’ospedale Maggiore di Parma». Per quanto riguarda la propria difesa, Mutti si dice ottimista: «Sarò agevolato dalla possibilità di dimostrare che l’Università si è auto-riformata, al punto che per i settori scientifico disciplinari di area medica l’esito dei concorsi è prevedibile non già per chissà quali intrighi, ma semplicemente perché il risultato è determinato dai titoli scientifici, verificabili attraverso banche dati pubbliche e indicatori bibliometrici, senza che alcun esame scritto, orale o pratico possa permettere valutazioni soggettive e correttive di commissari amici».
Quanto alla corruzione in ambito farmaceutico, sottolinea come la propria disciplina, la Medicina del lavoro, si occupi «del riconoscimento e della prevenzione delle malattie professionali senza prescrivere né sperimentare farmaci di alcun genere». Mutti nega che la sua decisione sia obbligata: «Mi sembra che farmi da parte sia la scelta migliore, almeno per me, la mia salute e la mia famiglia. Temo inoltre che la mia visione dell'Università e della sua integrazione con il servizio sanitario non risulti più compatibile con le condizioni che si sono create in questo sventurato ospedale, determinandone l'apoptosi». r.c.
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