Cartelle che si gonfiano e si sgonfiano, stando a testimonianze spiazzanti. Denunce all'indirizzo di enti esattoriali sporte da imputati chiamati in causa per pesanti ipotesi di reato: associazione a delinquere finalizzata alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e mancata esecuzione dolosa dei provvedimenti del giudice. Che quello a carico di Wally Bonvicini (con altri cinque) non sarebbe stato un processo come tutti è stato chiaro fin dalla prima udienza. Già dai primi fotogrammi, con lei che scende sorridente da un cellulare della Polizia penitenziaria e, scortata da tre agenti, con lo stesso sorriso prende posto in un'aula strapiena di persone (tutte dalla sua parte, pronte a sobbarcarsi viaggi di ore per tifare per chi mai hanno smesso di considerare paladina dei vessati dal sistema dei crediti e delle riscossioni).
Una donna che si difende attaccando. Nemmeno nei dodici mesi di carcere, la 66enne imprenditrice reggiana ha smesso di studiare pratiche, di firmare esposti. Figuriamoci ora, che ha come vincolo solo quello dell'obbligo della firma quotidiana. E infatti: ieri, accompagnata dagli avvocati Deborah Abate Zaro e Laura Beatrice Cuva, entrambe del foro di Torino, prima di prendere posto nell'aula collegiale del Tribunale per l'ennesima udienza è entrata in Procura. Da dove è uscita dopo aver depositato una querela verso Equitalia e l'Agenzia di riscossione «che - vi si legge - non hanno modificato l'operatività pur avendo i decreti che si sono succeduti sancito trasparenza a tutela del contribuente».
L'accusa mossa da Wally Bonvicini? «Le cartelle continuano a esprimere un debito lievitato, in gran parte non dovuto». Alla denuncia sono state allegate tre cartelle dalle quali risulterebbe la ripetizione di alcune cifre oltre all'applicazione di tributi abrogati fin dal 2002. La querela contiene la richiesta di «sequestro del software e/o dei software utilizzati dall'Agenzia delle Entrate, ora ente di riscossione, prima Equitalia» per verificare la causa delle presunte irregolarità. Poco dopo, in aula, davanti al collegio presieduto dal giudice Gennaro Mastroberardino, hanno deposto sei testimoni chiamati da Carlo Canal, difensore di Sante Scian, il 51enne pordenonese stretto collaboratore di Wally Bonvicini. Una sfilata non senza scossoni. Dante Scaramuzza, un panettiere di Porporano disperato perché chiamato a pagare cartelle esattoriali per 68mila euro (poi ridotte a 12mila) ha dichiarato di essersi rivolto a Federitalia su consiglio di un dipendente della stessa Equitalia. Pietro Menghini, indebitato con il fisco per le tasse non versate dal commercialista, ha raccontato che la propria istanza in autotutela «presentata otto anni prima ha avuto risposta solo dopo che la mia storia è diventata di dominio pubblico grazie a un servizio de Le Iene. E le cartelle esattoriali da 200mila euro sono passate a 28mila». In chiusura d'udienza, la difesa ha chiesto la revoca anche dell'obbligo di firma per Wally Bonvicini. Il pm Emanuela Podda si è riservato: si esprimerà al riguardo nei prossimi giorni. rob.lon.
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