Georgia Azzali
Il passato conta. Soprattutto se hai fatto parte di un clan che nel Barese fa ancora affari. E paura. Ma quando devi convincere qualcuno a restituirti dei soldi prestati (a strozzo), puoi alzare il livello delle minacce fino a terrorizzarlo. È il copione seguito dall'ex collaboratore di giustizia arrestato dalla Squadra mobile nei giorni scorsi per usura, insieme alla compagna, dopo un'inchiesta coordinata dal pm Paola Dal Monte. Minacce di morte a parole, ma anche regali tutt'altro che graditi dati di persona. E' così che una delle donne in ritardo con i pagamenti si è vista consegnare una confezione con dentro 42 cartucce con palla in piombo e una seconda scatola che ne conteneva altre 26 di diverso calibro. Plichi che lei stessa ha portato in questura il 6 aprile scorso, come emerge dall'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Mattia Fiorentini. Non solo. Una volta - ha spiegato ancora ai poliziotti - «mi fece vedere una pistola che custodiva in auto, dal lato passeggero».
Quarant'anni, uscito dal programma dei collaboratori di giustizia alla fine del 2017 e sino a quel momento aiuto cuoco in un ristorante della provincia, sapeva come fare soldi per far lievitare lo stipendio da dipendente. Prestiti con interessi fino al 450%, secondo gli inquirenti. Ma una mano gliela avrebbe data anche la compagna, 44 anni, pure lei di origine barese, finita ai domiciliari. I rapporti tra i due sarebbero conflittuali da diverso tempo, ma tra il 2013 e il 2014 la donna sarebbe stata al suo fianco nel mandare avanti il business. «... ho consegnato le somme di denaro direttamente alla sua compagna presso la loro abitazione - spiega una delle vittime nella denuncia -. Ogni volta che consegnavo il denaro, annotava su un quaderno il mio nome, la data e la cifra consegnata». Ed è sempre la compagna che viene intercettata mentre chiama un'altra vittima per sollecitare la restituzione dei soldi.
Lavoratori dipendenti, ma anche imprenditori: la coppia aveva «clienti» di vario tipo. I prestiti? Non cifre vertiginose, ma che comunque lievitavano spaventosamente nel corso delle settimane. Fino a costringere, secondo l'accusa, una delle vittime a cedere un'attività commerciale in Oltretorrente e un'altra coppia di imprenditori un capannone in provincia. Nemmeno la malattia faceva scattare la pietà. L'ex pentito sarebbe stato pronto a tutto pur di ottenere i soldi. «Io sono uscita dall'ospedale e con tutti i drenaggi mi sono recata al bancomat e ho prelevato il necessario e l'ho portato con me al solito presso il ristorante per consegnare il denaro», ha raccontato agli investigatori un'altra delle vittime.
Ieri, durante l'interrogatorio di garanzia, lui ha respinto le accuse, mentre la compagna ha preferito avvalersi della facoltà di non rispondere. Scelte diverse e destini (al momento) separati: lui resta in cella e lei ai domiciliari.
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