Vittorio Testa
«Come si fa a non sentirsi fortunati, qui, nel sole, davanti a quel grande uomo di luminosa immortalità che è Giuseppe Verdi? Lui e Beethoven, il mio padre, si sono battuti per migliorare l’umanità». Sorride, sorride sempre il Maestro Ezio Bosso, il corpo sofferente, la mente e l’anima che volano alte nel cielo della musica, trovando la gioia anche nella sofferenza. «La musica purifica tutto, trascende anche il dolore che non è un nemico ma un amico un po’ antipatico che va consolato».
Ezio Bosso è a Busseto per due concerti, la Quinta e la Settima di Beethoven, in un teatro Verdi modificato da Rai 3 che costruirà uno spettacolo particolare: l’orchestra in platea, telecamere nel primo ordine di palchi, pubblico al secondo piano e in loggione: una lezione-concerto con il Maestro dialogante con gli spettatori («l’altro fondamentale protagonista della musica» dice Bosso). Prova generale questa sera, domani e venerdì le serate “clou”.
Pianista, compositore, direttore d’orchestra famoso in tutto il mondo, ogni volta, come l’anno scorso all’Auditorium di Parma, è un successo. Ma guai usare questa parola: «Per me successo è il participio passato di succedere. E’ successo, andiamo avanti».
C’è un’infinita energia racchiusa in questo uomo visitato dalla malattia sopportata e vinta da una forza d’animo ampliata dalla sensibilità, dalla saggezza, dal talento tenacemente coltivato. «Il mio corpo è cambiato», sorride Bosso, «ma la musica non mi ha mai abbandonato. Questa è stata la mia fortuna: la musica è venuta a trovarmi fin da bimbo, forse sapendo che in seguito ne avrei avuto più bisogno degli altri: mi considero un privilegiato. La musica ha chiamato a sé il figlio di un tranviere e di una operaia della Fiat che a quattro anni comprava di nascosto dai genitori una partitura di Beethoven».
Stava scritto nel destino di Ezio Bosso posseduto dal demone buono dell’armonia: «Sì, il famoso destino che batte le prime quattro note della Quinta beethoveniana, il daymon dei greci. Ma sorvegliato e a volte contrastato dalle scelte dell’uomo capace di lottare e di trovare una propria via. Certo ci vuole coraggio: come nel caso di Verdi e Beethoven, giganti benefattori dell’umanità, con la loro fermezza, mettendoci la faccia, senza compromessi, capaci di far crescere, muovere e commuovere, la società del loro tempo. Per esempio Verdi con Traviata: la denuncia della grettezza e del fariseismo di quei tempi; con lo Stiffelio che perdona la moglie adultera. E Beethoven con il Fidelio: un grido di libertà, l’accusa al potere che nasconde la verità».
Si vola negli alti cieli dell’arte musicale, seppur seduti su una sedia e sulla poltroncina a due ruote di Ezio Bosso, parcheggiata in questa mattinata di sole e di bancarelle nel mercato del martedì in Piazza Verdi. Il vento, le voci, le campane, tutto è musica, anche gli attimi di silenzio, come ci insegna questo Maestro che raccomanda la “m” minuscola: «Noi direttori, noi musicisti siamo gli interpreti, cioè nessuno, siamo solo dei tramiti, l’ideale nostro sarebbe scomparire e far fluire la musica». Invece al termine c’è l’applauso, c’è l’ovazione… «Lo vivo come una forma di ringraziamento all’autore, sorrido e ringrazio a nome suo: certo sono contento per essere stato il tramite di un dono artistico, per avere fatto star bene la gente; ma, ringraziato il pubblico, in quei momenti vorrei scomparire. No, sono incolume dal rischio di sentirmi un super-eroe del podio del painforte».
Una pausa, una boccata di sigaretta e Bosso, le mani fasciate per autospingere le ruote della poltroncina-utilitaria fa un gesto come a sottolineare l’assoluta sincerità: «Non c’è pericolo che cada nella follia del sentirmi divo: vengo dai contrabbassi, io, dalla strada, dai sottopassi».
E sorride felice di un sorriso insieme timido e rispettoso, questo artista beneducato che rivendica «il diritto alla fragilità» e predica la necessità della «gentilezza militante».
Predicatore di dolcezza, sublimatore di sofferenza, qual è la spinta interiore, da dove deriva questa forza superiore alle avversità che l’hanno colpito? Dalla fede, forse: crede in Dio? «Diciamo che sono diversamente credente. La musica è trasfigurazione, come ci insegna il Cristo, è andare oltre se stessi restando fedeli alle proprie radici».
Il tempo di questa chiacchierata è volato via veloce, adesso Ezio Bosso saluta, l’aspettano in teatro. Un'ultima breve, ammirata sosta per una foto davanti al monumento di Verdi. A proposito, Maestro (sì maestro, d’accordo: con la “m” minuscola…) quando la vedremo dirigere un’opera di Verdi? Lui apre un sorriso che comincia dagli occhi dal brillìo entusiasta: «Finora sono rimasto un po’ bloccato dai problemi fisici… Ma se capitasse un’occasione mi ci butterei». L’opera preferita? «Due: Rigoletto, la perfezione ‘rivoluzionaria’. Falstaff, il passato e il futuro, Verdi immenso genio paterno che ci lascia per trapassare nell’infinito, ma restando dentro ciascuno di noi con lo scorrere ritmico del battito universale dei mondi».
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