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La Resistenza di Santina e Pacifico

La Resistenza di Santina e Pacifico

30 Novembre 2014, 10:25

Stefano Rotta

«Mambrèt. Mambrèt». E’ la voce di Vampa. Quattro castagne e la felicità di essere vivi, in pasto ai ragazzi nati in montagna negli anni Venti. «Eh si ballava, eccome se si ballava», racconta con gli occhi accesi Santina Mortali, reduce dalle notti di amore e terrore su per il Molinatico, ai tempi degli agguati nazifascisti. E poi i capi partigiani che ti forgiano alle durezze dell’esistenza, anche con qualche spavento per così dire formativo.

Mambrèt, “Mambretti“, era il partigiano Giuseppe Spagnoli, marito di questa perenne ragazzina danzante, anche oggi vivace anziana di montagna. Vampa, facendo finta di parlare tedesco, metteva alla prova i suoi uomini. C’è ancora, a tenere accesa la fiamma del ricordo (e che non si spenga mai, questo lume!) il partigiano Pacifico, Guido Mortali, suo fratello.

Ma come? «La guerra non mi è mai piaciuta. Non volevo sparare, avevo paura. La prima notte ho buttato via lo Sten nei boschi facendo finta d’averlo perso. M’hanno tenuto solo per le pattuglie».

1944. Il clima è questo. Ritrovo fra ragazzi su per i boschi. Saltano fuori tre fisarmoniche. E se arrivano i nemici? «O i bali anca luri, o igh masi tütti». Se la ricorda bene quella sera di allegria, Santina, quando la vita superava di un pezzo la morte in forza e stile, un crocchio di anime belle davanti al fuoco con le arie di sempre e le danze di quota. L’aspettarsi, serio e sereno, due ipotesi per questa festa improvvisa: o finisce nel sangue, o ballano anche i fascisti.

La Resistenza è stata anche questa cosa, fra la gente: l’opporre umanità alla barbarie. Le antiche usanze, i radicati convincimenti cristiani, la passione per la vita e le passioni della vita contro l’aberrazione occupante. Alla fine non è arrivato nessuno, i nemici se sono stati al loro posto, non così lontano.

Santina ricorda un episodio truculento, una corriera di fascisti che passava per Ostia intonando canzoni da caserma, rime e sfottò contro i partigiani. Le ricorda bene, a memoria, «con le loro barbe ci farem gli spazzolini, per pulir le scarpe a Benito Mussolini...», e via così. Alcuni partigiani del posto, per tutto rimando, li falciarono con il mitra. Lei guarda le persone, non le bandiere, e dice, «poveri ragazzi...».

Altro episodio chiave della sua gioventù in mezzo a rossi, bianchi e neri, è di quando stava tornando a casa dal fiume con la camicia da partigiano dell’uomo con cui avrebbe poi condiviso la vita, una camicia compromettente, essendo da partigiano. Cominciò quel giorno il grande rastrellamento nazista. Venne fermata da una SS mentre rincasava, con il cuore in gola era riuscita pochi attimi prima a nascondere l’abito sotto le pietre di un caselle, rendendosi inattaccabile. Una ragazza di montagna e basta. Ad assistere alla nostra chiacchierata, in una casetta del paese sotto gli scrosci di novembre, c’è Pacifico (lo chiamano ancora tutti così), pacioso e sorridente, dice, «io agli attacchi non ci sono mica mai stato, avevo paura. Si dormiva nei boschi, di notte si pattugliava. Quando sono andati a far saltare il ponte parabolico io non c’ero. Figurarsi». Bellissima la naturalezza con cui ricorda l’avventura partigiana, ma dietro le quinte, lasciando intendere che non ha lasciati soli gli amici ma gli eroi erano ben altri.

Santina nasce in ambiente contadino, l’aratro, i buoi, le castagne, i ceci, il grano, gli Appennini di quel tempo e dell’immenso tempo di prima. Il babbo era nato sul monte Pelato, figli del vento questi ragazzi degli anni Venti. Pacifico va avanti a fare il camionista e l’escavatorista, lavorando trent’anni per la ditta Costa. Lei, tiene a dirlo, ha ballato fino a settantasette anni, animando le feste su alla Brügna, località «Molino della Brugna». Strimepellate e balli dalle parti del torrente Cogena, come quando si era sfollati. «Ho avuto tanti morosi – sorride – ma sa com’è, allora era facile che da un giorno con l’altro morivano in guerra...». Eh, appunto. «La guerra è una rovina. Speriamo che non venga mai più», dice nel suo bel dialetto. Ma è impossibile fermarla, parlerebbe per ore, dei tedeschi che sparavano nel grano, «tam-pun», «tam-pun», e loro che nel grano si nascondevano, camminando su verso Tiedoli. Fin quando tornava a regnare il grande silenzio degli Appennini.

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