Roberto Longoni
In aula erano divisi da un paravento e da un muro di verità contrapposte. «Mi ha stuprato» diceva lei. «No, volevo solo rialzarla dopo l'ennesima caduta» replicava lui. Lei è una fidentina di trent'anni, residente nella prima periferia di Parma e in cura al Sert. Lui è un 27enne ivoriano con la famiglia a Brescia e un lavoro nella nostra città, dove suona batteria e organo in una chiesa pentecostale. Si sono incrociati all'una di notte del 16 settembre, e da allora le loro vite sono cambiate. Di certo, non è più la stessa quella del giovane, che da quasi sei mesi è in via Burla. Così come non potrà più essere quella di prima l'esistenza della presunta vittima, se le accuse da lei ribadite in tribunale corrispondono ai fatti. La prima a parlare è stata la donna, la voce malferma, minata dall'abuso di stupefacenti e dall'emozione. «Ripercorrere questa vicenda mi fa male» ha mormorato. Uno stato d'animo tenuto ben presente dal collegio presieduto dal giudice Gennaro Mastroberardino e dal pm Umberto Ausiello: soprattutto a lui toccava far rievocare quella notte alla presunta vittima. Il tono e i termini delle domande erano di chi vuole limitare il disagio, per quanto possibile. In risposta, come si è detto, una voce incerta ma per una ricostruzione comunque lucida.
Lei ha raccontato di aver incontrato l'ivoriano in zona stazione. «L'avevo già visto lì una volta - ha detto (circostanza negata da lui poco dopo) -. Gli ho chiesto della cocaina e lui si è offerto di procurarsela per condividerla con me». Una proposta a titolo di amicizia, che - stando alla donna - non prevedeva ricompense. Così, i due hanno poi percorso viale Fratti: la violenza si sarebbe consumata in via Trieste, in uno spicchio di terra ricoperto d'erba accanto al sottopasso della ferrovia. «Lui mi ha trascinata nel buio, mi ha buttata a terra, mi ha bloccato i polsi, mi ha tenuto la bocca tappata e, scostati gli short, mi ha stuprata». Un rapporto che avrebbe avuto modo anche di concludersi (ma non sembra siano state trovate tracce biologiche), prima dell'intervento di due passanti.
Nella precedente udienza si era ascoltato colui che diede l'allarme al 112. Ieri è toccato al secondo, un cuoco che, rientrato dal lavoro, aveva parcheggiato in via Doberdò. «Credevo fosse una coppietta e ho evitato di osservare in modo morboso» ha detto. Tutto cambiò al suo passaggio. «”Aiuto, aiuto” gridava la donna. “Mi sta stuprando. Chiamate i carabinieri”» ha raccontato il testimone. Lui la scena la osservò da una decina di metri di distanza ed ebbe la netta impressione che si stesse consumando un rapporto sessuale. Poco dopo, la donna raggiunse i testimoni e raccontò della violenza. Ma anche il giovane si fece avanti. «Continuava a gridare alla signora di essere una p... Voleva indietro 20 euro che lei sosteneva di non avere, chiedendo di essere perquisita per dimostrarlo». Prima dell'intervento dei carabinieri, la situazione si fece grottesca. Con il presunto stupratore intento a parlare del Parma con il primo testimone: la vittoria in casa dell'Inter era di poche ore prima. Poi, arrivata la gazzella, lui finì in caserma e la donna all'ospedale, dove le vennero riscontrati ematomi guaribili in dieci giorni.
«Traumi legati alle sue ripetute cadute - ha spiegato il giovane difeso da Laura Ferraboschi -. È rovinata a terra più volte lungo viale Fratti. Ho anche evitato che fosse investita, mentre barcollava in strada gridando “Italia Uno!”. Era fuori di sé». Lui ha raccontato di avere solo 6 euro in tasca e di essere in cerca di un kebap. «È stata lei a seguirmi: voleva i soldi per la droga. È stata lei ad andare in quell'angolo: è caduta anche sull'erba». Il giovane ha negato qualsiasi violenza: «Stavo cercando di rialzarla». Il collegio ha poi accolto la richiesta di Laura Ferraboschi di ascoltare un altro testimone: il ginecologo che visitò la donna quella notte. Il medico sarà chiamato a deporre il 15 maggio. Quel giorno si saprà quale delle due verità tenga di più.
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