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Tutti in piazza per dire no alla violenza

09 Gennaio 2015, 03:45

Maria Grazia Marinucci

Matite e penne levate al cielo, un foglio con l’hashtag #Jesuischarlie e poi le note dolorose de «Il silenzio», solitamente suonata nelle cerimonie funebri militari, hanno incorniciato il minuto di raccoglimento che i ragazzi delle sezioni musicali del liceo Attilio Bertolucci di Parma hanno dedicato alle 12 vittime dell’attentato parigino avvenuto mercoledì, nella redazione del settimanale satirico Charlie Hébdo. Un minuto. Per ricordare, per essere presenti, per testimoniare anche fisicamente quanto sia importante non tacere di fronte alla spietata violenza che due giorni fa ha tentato così di minare la libertà di stampa.

Ieri mattina quando studenti e professori si sono ritrovati insieme non hanno avuto dubbi sul fatto che c’era l’urgenza di fare qualcosa: «Il mio cellulare ha iniziato a squillare alle 7.30 - racconta la docente di scienze motorie Francesca Alletto - e una volta arrivata a scuola immediatamente insieme alla preside, ai docenti e ai rappresentanti degli studenti ci siamo dati da fare per organizzare questo momento».

Così alle 12 in punto un centinaio di ragazzi, dai 15 ai 18 anni, si sono radunati sulla rotonda di piazzale Barbieri e accompagnati dalla tromba suonata da Matteo Federici della 5°A, si sono fermati per un minuto stringendo tra le mani quelle matite che sono diventate il triste simbolo di una libertà che oggi più che mai deve essere difesa costantemente. «Credo che dovremmo far sentire la nostra voce ogni giorno - commenta Marco Cilloni della 4°A - perché proprio noi, che siamo l’avvenire, vogliamo che nel nostro futuro siano tutelati tutti i diritti fondamentali dell’uomo». Infatti insieme alla crudeltà dell’eccidio compiuto «quello che fa più scalpore è proprio il fatto che sia stata attaccata la libertà di opinione - continua Marco -. E’ per questo che vogliamo dimostrare il nostro impegno affinché massacri del genere non si ripetano più».

Ma questo, purtroppo, non è l’unico aspetto su cui riflettere. Qualcos’altro genera apprensione tra i docenti. Dopo l’attentato del 7 gennaio preoccupa il fatto che molti giovani potrebbero cadere in facili reazioni contro i propri compagni islamici o che più in generale maturino pensieri razzisti nei confronti delle comunità presenti sul territorio. «Ora dobbiamo impegnarci non solo per garantire la tutela della laicità e della satira politica, ma dobbiamo anche stare attenti affinché non si generi una ‘guerra’ contro la comunità islamica», ha chiosato la professoressa Alletto. E quello degli insegnanti è un timore del tutto legittimo dal momento che, come ha spiegato anche Marco, «tra i ragazzi se n’è già parlato e c’è chi ha accusato senza dubbi la comunità islamica, non distinguendo però tra i fanatici e coloro che semplicemente professano una religione diversa». Sicuramente ciò che ieri ha spinto più di cento ragazzi a scendere in piazza, per testimoniare il dolore e la rabbia provocata da tanta violenza, è un sentimento comune che vuole superare le barriere del razzismo e unire le persone nella consapevolezza che difendere e tutelare i propri diritti non può dividere e a volte morire per questo significa essere uomini liberi.

 

«Je suis Charlie»: silenzio al Romagnosi

 

Enrico Gotti

Matite tenute in mano come fossero fiaccole, per difendere la libertà di pensiero, dopo l’attacco terrorista a Parigi. Ieri mattina, gli studenti del liceo Romagnosi hanno osservato un minuto di silenzio, scossi dall’assalto armato alla sede del settimanale satirico «Charlie Hebdo».

Poi tutti i rappresentanti degli studenti sono usciti in cortile, dopo l’intervallo, per ripetere con biro e matite in aria quel gesto simbolico. Fra tanti ragazzi e ragazze, c’era anche una ragazza musulmana, studentessa con il velo, per ribadire che la mobilitazione contro la violenza riguarda tutti. Dolore, rabbia e indignazione si sono mischiati nelle aule. Gli studenti hanno stampato e distribuito fogli con la scritta «Je suis Charlie», anche io sono Charlie, il messaggio di solidarietà per i vignettisti uccisi da fanatici islamisti.

«Abbiamo deciso di organizzare questa iniziativa per difendere la libertà di opinione, e per manifestare contro ogni tipo di violenza dettata da presunzioni e fanatismi. Abbiamo portato i manifesti, e abbiamo deciso di fare un minuto di silenzio nei corridoi, poi, assieme al preside, siamo usciti nel cortile - spiega Tommaso Moroni, uno dei quattro rappresentanti di istituto -. Volevamo fare un attimo di riflessione in silenzio, dopo tanti commenti a caldo. A scuola c’é stato molto dibattito. Quello che è successo ha sconvolto molte persone». In ogni classe, i giovani si sono messi a discutere di religione e immigrazione. Si sono divisi in due gruppi: quelli che temono una deriva dell’islam, in un’Europa dove l’integrazione ha fallito, e quelli che invece invitano ad andare oltre la paura, a non generalizzare.

«Si sta aprendo un periodo molto buio, per l’occidente. L’Italia non è dentro una campana di vetro, ne avremo anche noi purtroppo di manifestazioni di questo genere – dice Tommaso, studente di 1 F -. I professori erano colpiti dal fatto che avessero puntato un giornale satirico, erano indignati e cercano sempre di infonderci il dialogo, che è compito della scuola». E, tra i docenti, c’é anche chi si è messo a piangere per quello che era successo. Anche il liceo Attilio Bertolucci ha aderito all’idea lanciata dal preside del Romagnosi Campanini di manifestare con matite al cielo, in segno di solidarietà alle vittime del terrorismo, e così tutti gli studenti sono usciti in cortile, subito dopo la campanella di metà mattina.

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