MARA PEDRABISSI
C'è Parma, c'è il Labirinto della Masone, c'è soprattutto la corte delle Piacentine dove Bernardo Bertolucci girò «Novecento». «C'è tempo», il primo film “di finzione” di Walter Veltroni, dopo alcuni bei documentari, arriva oggi nelle sale italiane; domani sera il regista accompagnerà la sua creatura, in una sorta di “nostos”, di “viaggio di ritorno” a Parma (le riprese risalgono al luglio scorso), al cinema Astra, in compagnia dell'attrice Simona Molinari per un incontro con il pubblico condotto da Filiberto Molossi (ore 21).
Tessuto della favola confezionato con taglio da commedia: Veltroni mette in campo i temi che gli stanno cari (i bambini, l'anelito alla felicità) e la magnifica ossessione per il cinema inanellando una lunga serie di citazioni che i cinefili non mancheranno di scoprire (da «Prima della rivoluzione» a «La grande guerra» a «Maccheroni»).
«C'è tempo» è la storia di Stefano (Stefano Fresi) quarantenne precario e infantile che vive in un paesino di montagna. Alla morte del padre, mai conosciuto, scopre di avere un fratellastro tredicenne, Giovanni (Giovanni Fuoco), troppo maturo per la sua età, che si esprime in un italiano forbito e tiene appeso in stanza il poster de «I 400 colpi» di Truffaut.
Stefano parte per Roma accettando la tutela del ragazzino, per interesse. Il viaggio alla volta di casa, a bordo della Volkswagen Cabrio 1300 di Stefano, si allungherà a dismisura e i due fratellastri scopriranno di non essere poi tanto diversi.
Veltroni, cominciamo da noi: Parma c'entra tanto nel suo film.
«C'entra Parma, c'entra Fontanellato, c'entra Bertolucci, c'entra la civiltà colta della vostra terra di cui nel film si vedono ampi squarci. Ho sempre ammirato la vostra storia culturale e le vostre esperienze civili. Quindi, nel cercare luoghi capaci di raccontare la grandezza di questo Paese, mi è venuto naturale pensare a Parma. Abbiamo girato all'Angiol d'or, al Palazzo Dalla Rosa Prati, in piazza Duomo: voglio ringraziare, per l'accoglienza, la gente e, per la disponibilità, il sindaco Pizzarotti e l'assessore Guerra come anche il sindaco di Fontanellato, Trivelloni. Il Labirinto della Masone è uno di quei luoghi che il Paese dovrebbe conoscere di più, frutto del genio di Franco Maria Ricci, un simbolo della vostra terra, come lo è Bernardo Bertolucci per il cinema».
A proposito di Bernardo, siete stati molto amici.
«Molto. Conservo infiniti ricordi. Il primo - ed è l'occasione in cui ci conoscemmo - risale a quando a vent'anni organizzai, come Fgci, una manifestazione a Roma per difendere “Ultimo tango”, messo al rogo. Poi c'ero per “Novecento”: quando lo presentò, Amendola e Pajetta rimasero freddi, sbagliando, perché lo vedevano come un tradimento. Io lo difesi: Bernardo voleva arrivare al grande pubblico. Infine, un episodio che racconto poco: quando mi dimisi da segretario del Pd e recuperai il mio tempo, feci due cose che desideravo da tanto. La prima, un volo in aliante. La seconda, fu andare nella cascina di Novecento e dalla stanza dove Olmo sale sul tavolo telefonare a Bernardo».
Una bella emozione. Venendo al film, chi lo ha visto in anteprima ne dà giudizi lusinghieri, un lavoro «rasserenante».
«E' la parola giusta, volevo realizzare un film contro il buio che avverto intorno a noi, contro l'odio, contro l'idea che l'altro da sé sia una minaccia. La cosa più bella che mi hanno detto le persone che lo hanno visto, è che, al termine, si sono sentite più lievi. E' una commedia nel senso classico del termine, si ride e ci si commuove».
Un esordio che farebbe contento suo papà Vittorio che ci piace ricordare: grande giornalista e uomo di cultura, che se ne è andato troppo presto.
«E' vero, grazie. Papà è morto quando avevo un anno, praticamente non l'ho conosciuto. Però mi hanno detto che ho un carattere simile al suo, nel cercare il lato positivo nelle cose e nelle persone».
Per finire, non possiamo non ricordare che lei ha avuto un “primo tempo” in politica con incarichi molto importanti. Ho letto che Nicola Zingaretti, dopo aver vinto le primarie, le ha telefonato...
«Sì ma non c'è nulla di straordinario nel senso che con Nicola ci sentiamo abbastanza spesso, da sempre, nel rispetto delle scelte di vita che ciascuno ha fatto. Sono ovviamente contento del risultato di Nicola ma sono più contento ancora del segnale di vitalità e democrazia che, con le primarie, ha dato quella creatura che ho contribuito a costruire molti anni fa. Non devo tornare in politica perché non sono mai andato via; cerco di dare una mano ma senza ruoli».
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