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Ac/Dc, trionfo rock a Imola

10 Luglio 2015, 11:22

IMOLA

DAL NOSTRO INVIATO

Francesco Monaco

Rock or bust. Poche balle e nessuno spazio per negoziare. 92 mila ragazzi ed ex ragazzi hanno scelto il rock e hanno preso d'assalto fin dal mattino l'autodromo di Imola per l'unica data italiana degli Ac/Dc, riportati in Italia da Claudio Trotta della Barley Arts a 5 anni dal loro ultimo show. Numeri impressionanti per l'evento dell'estate che strabatte per numero di spettatori quello degli Stones al Circo Massimo di un anno fa (ma quelli erano targati D'Alessandro & Galli) e che semmai conferma come siano ancora in tanti, in Italia, a preferire il rock factor.

Suonano le campane all'«Enzo e Dino Ferrari» ma non sono quelle di Maranello quando vince la Ferrari. Sono quelle dell'inferno in terra di uno dei più redditizi brand del rock'n'roll, forse inferiore per popolarità solo alle pietre rotolanti ma con un pubblico più trasversale. Perché questo sono gli Ac/Dc, un marchio di fabbrica registrato (anche se funziona ancora meglio dal vivo!), un videogame da aggiornare ogni due o tre anni con qualche canzone nuova da inserire in scaletta (adesso tocca a Rock or bust, Play ball e Baptism by fire, ma la band ripesca anche Sin City e Have a drink on me che non eseguiva dal 1981) e la solita porta girevole alla voce line up. Cioè alla voce c'è sempre Brian Johnson, che tiene botta, ma dietro la batteria è tornato Chris Slade, visti i guai giudiziari di Phil Rudd che proprio ieri è stato condannato a 8 mesi, da scontare ai domiciliari, dal Tribunale di Tauranga, e alla ritmica c'è Stevie Young al posto di zio Malcolm, afflitto da demenza senile. Tanto l'icona degli Ac/Dc è sempre lui, lo scolaretto elettrico Angus Young, che della mise con i calzoncini corti ha fatto una divisa d'ordinanza e delle corna con le dita un gesto internazionale. I 92mila sono un oceano di mignoli e indici all'insù quando sui maxischermi ai lati del cerchio di botte con corna e logo che incornicia i 46 metri di palco parte il filmato introduttivo con un maligno meteorite che sembra atterrare sul pit. Parte Rock or bust, subito seguita da Shoot to thrill e Hell ain't a bad place to be. Davvero, se l'inferno è questo non è niente male. La band ha tanti proiettili da sparare: Back in black, Thunderstruck, Rock'n roll train, You shook me all night long, Tnt. La scaletta (20 pezzi, blindatissimi, sempre quelli per l'intero tour 2015) è un concentrato di greatest hits e di effetti consolidati, dalle campane di Hell's Bells alla «signora in carne» di Whole lotta rosie, ai colpi di cannone che sentenziano la parola fine dopo due ore ad altissimo voltaggio con i classici bis Highway to hell e For those about to rock (we salute you). E noi salutiamo i cari vecchi australiani, ringraziandoli ancora una volta di essere sempre uguali a se stessi: mai un'innovazione, mai una ballata acustica, mai una raffinatezza. Loro non cambiano, non vogliono e non possono. Perché sono un marchio e i fan scelgono sempre quello: lunga vita a quei ragazzacci chiamati Ac/Dc.

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