Marco Pipitone
Aveva annunciato lui stesso che non sarebbe stato necessario fornire alcuna anticipazione riguardo il concerto. Aveva continuato dicendo che lo Short Summer Tour si meritava una location straordinaria come Piazza Duomo.
Quello che Franco Battiato non aveva detto è che lo spettacolo avrebbe regalato, nell’arco di quasi due ore, una scaletta piena di sorprese e di grande pathos emotivo, riscontrabile negli occhi del pubblico, visibilmente emozionato e a tratti incontenibile nel ringraziarlo.
Ma andiamo con ordine, la Piazza, al completo, regala uno scorcio d’altri tempi, tanto che il senso di magia è a livelli sostenuti ancor prima che cominci il maestro; Giovanni Caccamo dona speranze di un cantautorato italiano che, ai giorni nostri, potrebbe difficilmente rivendicare un futuro in grado di eguagliare il passato già scritto.
Gli applausi segnano il tempo dell’attesa, evidenziati dal lento digradare della luce: è il crepuscolo ad anticipare il suono elegiaco dell’Ensemble Symphony Orchestra benché sia l’entrata del Maestro a donare il logico entusiasmo. Affrettandosi a smorzare gli applausi e chiedendo di non affaticarsi. «Stati di Gioia», «Testamento» e «Il re del mondo» sono a tutti gli effetti una dichiarazione di intenti. Rimandati dunque i cori da stadio ad altri momenti, ci si concentra sul lato intimista di una produzione artistica che non lascia scampo: evocando un passato che non vuole essere dimenticato («Segnali di vita») ma è il presente che invita alla preghiera («Un irresistibile richiamo).
Le canzoni di «Apriti Sesamo» dimostrano quanto Battiato sia proiettato ai giorni nostri («Passacaglia»). La prima parte del concerto richiede particolare attenzione. Anche chi non conosce la produzione tardiva dell’artista non può fare altro che rimanere impressionato dall’esecuzioni live. La centralità dell’orchestra esalta traiettorie di canzoni ripescate da «Il Vuoto» e da «L’ombrello e la macchina da cucire».
Dopo aver ripreso i fotografi ed aver preteso di sistemare l’asta del microfono, il concerto volge dentro logiche imperscrutabili: la scaletta è una continua sorpresa («Lode all’inviolato»), sostenuta da improvvise schiarite («No time no space»), sebbene la voce, saltuariamente riveli «Il secondo imbrunire» dell’artista.
Canzoni come «Il mantello e la spiga» oppure «L’ombra della luce» aprono il cuore, lasciando spazio a ricordi che trovano nei «fleurs» momenti ai quali attaccarsi nelle notti buie e tempestose. «Niente è come sembra», anticipa «La cura» ma soprattutto il delirio del pubblico che di fatto anticipa un finale al fulmicotone: mentre noi andiamo in stampa, partono in serie canzoni senza tempo: «Prospettiva nevskij», «La Stagione dell’amore», «Gli uccelli» e le hit di sempre («L’era del cinghiale bianco»)... Duemila persone in visibilio celebrano il tempo dei saluti e soprattutto la figura di un artista ancora in grado di regalare emozioni in un concerto difficile da dimenticare. La rassegna prosegue stasera con l’Orchestra Tzigana di Budapest, sempre alle 21.30.
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