Francesco Bandini
Emergenza sangue: Parma è sempre più un territorio vulnerabile dal punto di vista delle scorte. Il calo delle donazioni nella nostra provincia, tradizionalmente fra le più generose a livello regionale e nazionale, è infatti un dato acquisito: all'Avis quasi 2 mila in meno nel 2014 rispetto al 2013 e saldo negativo anche per l'Adas. Nell’anno appena terminato, la provincia di Parma è stata comunque in grado di garantire la propria autosufficienza di sangue, ma si è vista costretta a cedere ad altre regioni in difficoltà quantitativi di sacche molto più limitati rispetto al passato: poco più della metà di quanto era stato previsto nella programmazione annuale.
La tendenza al calo non è certo un'esclusiva di Parma, ma si tratta di un dato generalizzato a livello regionale e nazionale. Una tendenza che però anche sul nostro territorio si è ormai consolidata da diverso tempo a questa parte, e l’ultimo dato relativo all’andamento della raccolta di sangue in dicembre ne è la riprova. Proprio dicembre, infatti, era tradizionalmente il mese in cui l’andamento delle donazioni faceva registrare un picco significativo, al punto che le scorte erano poi sufficienti per coprire il fabbisogno di gennaio e di parte di febbraio, che storicamente sono mesi in cui le donazioni fanno registrare una flessione. Invece, il dicembre 2014 all'Avis è stato particolarmente scarso, senza precedenti, con la conseguenza che nei primi giorni di gennaio le chiamate telefoniche ai donatori perché si presentassero al prelievo sono state più numerose del solito. Di fronte alla carenza di scorte di determinati gruppi sanguigni, infatti, non ci si poteva permettere di aspettare che i donatori si presentassero spontaneamente, ma si è reso necessario chiamarli personalmente.
E proprio questa della chiamata diretta, da eccezionale sta diventando una pratica quasi ordinaria, specie nei periodi in cui le scorte si assottigliano. Anche se in realtà il fenomeno è in parte spiegato da un nuovo sistema di gestione dei donatori da parte dell’Avis provinciale, che punta ad adeguare la raccolta all’effettivo utilizzo del sangue, con la necessità quindi di programmare il più possibile le donazioni. Questo diminuisce il rischio di sprechi, ma dall’altra parte inevitabilmente comporta un livello di depositi più basso.
Ma quali sono le cause di questo calo di donazioni e di donatori? Innanzitutto c’è l’aspetto demografico. La popolazione invecchia, ci sono meno giovani in generale e quindi anche meno giovani donatori. I neodonatori diciottenni, poi, a Parma hanno raggiunto livelli mai così bassi da anni a questa parte. E nel 2014 le prime donazioni da parte di nuovi donatori sono state addirittura trecento in meno dell'anno precedente, da 1.233 a 1.534: un autentico crollo. Inoltre, i giovani donatori tendono a donare di meno, e anche questo è un fattore che incide non poco sui quantitativi finali. Donano di più i donatori più attempati, che però gradualmente cessano per motivi d’età, lasciando il campo a volontari statisticamente meno propensi a donare spesso.
E poi c’è la crisi. Anche se può apparire strano, la congiuntura economica negativa e il calo di donazioni e donatori sono due fattori fra loro legati, molto di più di quanto non si possa pensare a prima vista. Un po’ incide l’elemento per così dire psicologico: in tempi bui, in cui ciascuno deve badare ai propri problemi, è meno facile trovare il tempo e la voglia per andare a donare. E poi c’è una questione più pratica: chi lavora, specie chi ha un impiego precario o lavora in aziende in difficoltà, si fa più scrupoli a chiedere il giorno di riposo per la donazione, e quindi dona di meno, oppure lo fa in giorni non lavorativi, come dimostra il sensibile incremento di accessi al sabato al centro di raccolta sangue dell’Avis provinciale a San Pancrazio.
Infine, anche la riorganizzazione del sistema di raccolta dell’Avis provinciale nel Parmense sta comportando un fisiologico calo delle donazioni. Da una parte, infatti, la Regione ha imposto l’accreditamento dei punti di raccolta periodica del sangue sul territorio, con la necessità (in alcuni casi) di interventi strutturali che soddisfino i requisiti richiesti; dall’altra, l’associazione ha deciso una razionalizzazione della raccolta, sacrificando quei punti in cui le donazioni erano relativamente scarse e che comunque potevano rappresentare «doppioni» rispetto ad altri centri di raccolta vicini. La conseguenza di questo è stata la decisione di effettuare una serie di chiusure di punti di raccolta in provincia (pur mantenendo ovviamente le sedi associative): scelte che in alcuni casi sono state anche dolorose. Risultato: dei 49 punti di raccolta che c’erano in provincia fino al 2013, ne sono stati chiusi 10 nel gennaio 2014 e altri 5 lo scorso 31 dicembre. Dei 34 rimasti, altri 5 sono destinati a chiudere nel 2016: si tratterà di accorpamenti fra territori limitrofi, ma ancora non è stato deciso chi chiuderà e chi resterà aperto. Di sicuro c’è che alcuni donatori, che erano abituati a donare nel punto prelievi del proprio paese, sono portati a donare di meno nel momento in cui il loro punto di riferimento è stato chiuso e devono spostarsi in altre zone, specie se si parla di zone di montagna, dove in effetti si è concentrata la maggior parte delle chiusure.
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