Georgia Azzali
Ricomincia nella città in cui le sue ossessioni hanno trovato pace. Lontano da Parma. Da quelle stanze di via Rimini 8 in cui la sua angoscia ha rotto gli argini. Ferdinando Carretta è libero. Libero di vivere nel piccolo appartamento che ha acquistato a Forlì. Lì, dove ha passato gli ultimi nove anni nella comunità «Podere rosa», dopo averne scontati altri sette e mezzo nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. «Dopo tanto tempo, ora voglio solo fare una vita tranquilla. Pensare al futuro. Sto bene. E vorrei solo essere dimenticato», dice.
Il passato è la strage. Sono i colpi di pistola sparati al padre, al fratello e alla madre: Giuseppe, Nicola e Marta Chezzi, uccisi nella casa di via Rimini il 4 agosto 1989. Un passato chiuso, per Ferdinando. Eppure, sospeso. Perché quei tre corpi non sono mai stati trovati, nonostante gli scavi nella discarica di Viarolo dove Carretta aveva detto di averli abbandonati. «Ogni volta che si parla di ciò che è successo sto male. Ogni volta che esce qualche notizia che mi riguarda sto male. Voglio solo ricominciare a vivere», aggiunge. Fino a qualche tempo fa lavorava come addetto alla raccolta dei rifiuti per la cooperativa che gestisce la comunità, ma su questo aspetto silenzio assoluto: «Non dico niente, mi sto dando da fare, vedremo».
E' cortese. Anche se distilla le parole. Ciò che è stato è un grumo di dolore cacciato in fondo all'anima. Ora, c'è un futuro da costruire. Dopo quasi 17 anni, tra ospedale psichiatrico e comunità, passati a dare un volto ai propri fantasmi. A scavare nella follia. Perché Ferdinando, secondo la legge, è un assassino «senza colpe». Assolto, il 15 febbraio 1999, essendo stato ritenuto totalmente incapace di intendere e volere. Più volte, tra il 2012 e il 2014, il difensore di Carretta, l'avvocato forlivese Cesare Menotto Zauli, aveva fatto istanza al tribunale di Sorveglianza affinché Ferdinando non avesse più vincoli, visto che già dal 2008 era in libertà vigilata. Ma le varie richieste erano state respinte. Anche la Cassazione aveva chiuso la porta. Nelle scorse settimane, però, il magistrato di Sorveglianza di Bologna ha dato il via libera a Ferdinando per andare a vivere nella sua casa di Forlì. Secondo il giudice, infatti, la sua pericolosità sociale si è particolarmente attenuata, tanto da consentirgli di lasciare la comunità. Tuttavia, Carretta avrà ancora delle prescrizioni da rispettare: dalla sera fino alla mattina successiva non potrà allontanarsi dall'abitazione, così come continuerà ad essere periodicamente seguito da psichiatri ed educatori per verificare il suo percorso di reinserimento. Una serie di imposizioni che la difesa vorrebbe fossero eliminate al più presto, tanto è vero che ha già fatto ricorso in Cassazione contro il provvedimento della Sorveglianza.
Ma ora niente più anime disperate con cui contare le ore nell'ex manicomio criminale. Niente più compagni persi nel loro dolore con cui viveva in comunità. A 52 anni, Ferdinando ha il «suo» mondo. Giornate da trascorrere in quel piccolo appartamento acquistato con i soldi dell'eredità di famiglia. Nell'ottobre 2008, infatti, Carretta aveva raggiunto un accordo con le zie: a lui era andato l'appartamento di via Rimini, che poi aveva venduto per circa 200.000 euro, oltre ad altri 40.000 euro circa in contanti.
Era ancora rinchiuso nell'ospedale psichiatrico quando disse che, una volta fuori, avrebbe ricominciato da Londra, la città in cui fu ritrovato nel 1998. Ha scelto di restare a Forlì, per ora. Distante, comunque, da quella grande casa dove tutto è finito. Dalla prigione che i suoi fantasmi avevano costruito.
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