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Il principe del Regio

17 Maggio 2015, 13:23

Margherita Portelli

Lo si è visto così di rado senza quel suo «cappellaccio» che vien quasi da sospettare che sotto nasconda qualcosa. Magari una corona, che in quanto «principe» della canzone italiana oramai si sarebbe anche meritato. O forse un coniglio dalle lunghe orecchie, perché in fondo di magia se ne intende abbastanza. Dietro le lenti scure degli occhiali, anche quelli d’ordinanza, ci sono di certo due occhi in grado di cogliere la poesia del mondo, dolci compagni di viaggio di una voce capace di trasformare quegli stessi versi in carezze, per anima e pelle. Francesco De Gregori, protagonista ieri al Teatro Regio, culla palchi e platea in una ninna nanna divertente e commovente di oltre due ore, capace di accompagnare il sabato sera di un pubblico variopinto ma compatto: tre o quattro generazioni a socchiudere gli occhi tutte insieme per darsi in pasto ai sogni, e un palcoscenico che assomiglia a uno scrigno, caldo e famigliare, pur nella sua eleganza altera. Il «Vivavoce Tour» lambisce così Parma (a due anni dell’ultimo concerto del «principe» qui nella città ducale), con delicatezza. Una scaletta ricca, quella che scandisce la serata, abbastanza fedele all’ultima doppia raccolta che dà il nome alla tournée, ma con incursioni di rito e piacevoli sorprese. De Gregori, e questo si sa, ama cantare. Di parole ne pronuncia poche sul palco: forse addirittura meno dei venticinque brani che attacca, uno dopo l’altro, a partire da «Ti leggo nel pensiero». Eppure, quando esci, hai la sensazione di leggerezza che solitamente segue una grassa chiacchierata con un amico. Sarà perché in fondo un po’ hai la pretesa di conoscerlo, quel sognatore dall’aria snob, e quando intona i suoi grandi successi - «Generale», «La leva calcistica del ‘68», «Alice», «Buonanotte Fiorellino», «La donna cannone», «Rimmel», «Atlantide», «Titanic» - ti lasci travolgere a tal punto dai ricordi che ti sembra quasi di averli condivisi con lui. Eccola la magia bella della musica: voce, chitarra e armonica nulla potrebbero da sole. A farsi largo nel repertorio più noto al grande pubblico, anche pezzi meno conosciuti o riarrangiati al punto da risultare nuovi: «La ragazza e la miniera», «Cose», «La testa nel secchio». E il pubblico scoppia in grossi applausi nel bel mezzo dei brani, o anticipa i ritornelli con le braccia alzate: non ce la fa ad aspettare quando Francesco canta (ma sembra voler gridare) «Viva l’Italia», né quando le luci attaccano a lampeggiare come «Sotto le stelle del Messico». Questo è il reame del «principe» e non c’è «Niente da capire». Ad accompagnare il cantautore romano sul palco, nello spettacolo firmato Caos organizzazione spettacoli e Arci Parma, una «truppa» di ben dieci musicisti formata da Guido Guglielminetti (basso e contrabbasso), Paolo Giovenchi (chitarre), Lucio Bardi (chitarre), Alessandro Valle (pedal steel guitar e mandolino), Alessandro Arianti (hammond e piano), Stefano Parenti (batteria), Elena Cirillo (violino e cori), Giorgio Tebaldi (trombone), Giancarlo Romani (tromba) e Stefano Ribeca (sax e flauto traverso). Una schiera in perfetta armonia, che non ti fa mai bastare i bis. Vorresti continuare a dondolare sulle poltrone rosse tutta notte, perché chi se ne frega se quell’eccentrico amico romano ha la fama del timido antipatico: in fondo non è mica da questi particolari che si giudica un cantautore.

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