Georgia Azzali
I volti coperti dalle sciarpe e schermati da alcuni fogli di carta. Mulinando calci a destra e sinistra per tentare di allontanare giornalisti e fotografi assiepati. Sono uscite così dal tribunale, ieri pomeriggio, le tre operatrici di Villa Alba. La madre Concetta Elia e la figlia Maria Teresa Neri sono sgusciate dentro un taxi che le attendeva da diversi minuti; l'altra figlia, Caterina, si è allontanata a piedi verso via Collegio dei Nobili, poi è salita su un'auto che l'aspettava. Fuggite via dopo l'interrogatorio di garanzia davanti al gip Alessandro Conti, il giudice che mercoledì scorso le ha fatte finire ai domiciliari con l'accusa di maltrattamenti. Un paio d'ore per tentare di cancellare quel racconto dell'orrore impresso nelle registrazioni ambientali. «Possono essere scappate alcune parole pesanti - ha sottolineato Maria Teresa Neri - ma solo perché a volte qualcuno degli ospiti si metteva in una situazione a rischio, per esempio si avvicinava in modo pericoloso a una finestra, e allora poteva succedere che li si rimproverasse. Ma botte, mai».
E' lei la titolare della casa famiglia. La rappresentante legale della struttura. L'unica che decide di rispondere alle domande del giudice e del pm Fabrizio Pensa, titolare dell'inchiesta. Le chiedono di quel rumore di schiaffi che pare sentirsi nelle intercettazioni. E soprattutto di quell'anziana che dice in dialetto parmigiano: «Che sciaf...». Ma Maria Teresa Neri se la cava dicendo: «Molti ospiti, appena li toccavi, li sfioravi, anche per lavarli, si lamentavano».
Nessuna ammissione, se non per quelle volte in cui «può essere scappata qualche parola di troppo», ma solo perché l'anziano di turno avrebbe rischiato di farsi del male. Risponde alle varie domande, Maria Teresa Neri, eppure l'impressione è che spesso si lanci su un terreno maledettamente scivoloso. Quando le viene contestato, per esempio, di aver fatto credere a una delle anziane che la sorella, anche lei ospite di Villa Alba (e in vita), era morta, lei replica: «Se uno diceva che l'altra era morta, lo dimenticava praticamente subito. E comunque, si trattava di due sorelle che avevano un rapporto morboso».
Insulti, umiliazioni, dileggi. E percosse. E' questo il quadro ricostruito dagli inquirenti grazie alle cimici piazzate per alcuni mesi tra le stanze di Villa Alba. Ma gli anziani sarebbero stati anche imbottiti di farmaci per far sì che stessero più tranquilli. Un modo per fiaccare il corpo e lo spirito di quegli ospiti che forse a volte era difficile mantenere tranquilli. «Io ho dato farmaci sempre rispettando le prescrizioni mediche. Gli anziani non erano imbambolati, tanto è vero che quando è arrivata la polizia mercoledì, verso le 6,30, erano tutti svegli», replica Maria Teresa Neri.
Un'ora di faccia a faccia con giudice e pm, poi tocca alla sorella Caterina. Entra con una serie di fogli tra le mani: l'atto di discolpa che legge in aula. Sceglie la strada delle dichiarazioni spontanee. «Non abbiamo mai impedito ai familiari di venire nella struttura e per qualsiasi malessere degli ospiti venivano chiamati - dice -. E se quelle che si sentono nelle intercettazioni sembrano percosse, non è così in realtà».
Legge quelle parole messe nero su bianco che non ammettono domande e repliche. Sottolinea, in sintonia con la sorella, che «era il medico a prescrivere la terapia». E quelle sponde dei letti che avrebbero imprigionato gli anziani? «Venivano alzate per proteggerli, anche perché alcuni erano molto agitati», dice Caterina Neri. Poi, non dimentica di dare una «giustificazione» ai vari rotoli di nastro adesivo trovati dagli investigatori nella struttura. «Lo scotch non era usato per legare gli ospiti - spiega la donna - ma per fissare bene i pannoloni che indossavano».
Le «verità» di Maria Teresa e Caterina Neri. La madre si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Ha preferito tacere.
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