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Omicidio Guarino: scenari inquietanti

Omicidio Guarino: scenari inquietanti

26 Aprile 2015, 14:30

Georgia Azzali

Era l'uomo che gli aveva rubato la donna della passione. E che lo stava spodestando dal trono di reuccio del giro d'usura del Parmense. Gelosia e affari (sporchi): un mix potentissimo che spinse Mario Illuminato a organizzare, con l'aiuto di Massimiliano Sinatra e Graziano Acampa, l'omicidio di Raffaele Guarino nella notte tra il 28 e il 29 ottobre 2010 a Medesano. Ne è convinta anche la Corte d'appello, che il 20 gennaio scorso ha confermato l'ergastolo a tutti e tre, ma per i giudici «la vicenda è intrisa di connotati camorristici». Pur non essendo stata contestata a suo tempo dalla procura di Parma l'aggravante mafiosa, altrimenti il caso sarebbe passato alla Dda di Bologna, i magistrati sottolineano nella sentenza, depositata nei giorni scorsi, che «l'appartenenza "a squadre", il curriculum criminale e/o vitae degli agenti (ma anche della vittima), il movente articolato ma ispirato a una regolazione dei conti anche con la massima espressione di violenza verso il rivale, il reperimento di arma con silenziatore, demandato a una ricerca in ambito malavitoso... fino al mantenimento della famiglia del colpevole in carcere sono solo alcuni dei profili più evidenti della colorazione (anche) mafiosa del delitto e del suo contesto».

Un pezzo grosso della camorra, Lelluccio Guarino. Un boss degli scissionisti di Barra, a Medesano in libertà vigilata. E ucciso con due colpi di pistola in faccia mentre dormiva nel suo letto. Tanto che fin da subito, tra le varie ipotesi, si profilò anche quella dell'omicidio mafioso. Ma ben presto si capì che era in quel contesto di (ex) amici e colleghi di prestiti a strozzo che bisognava indagare. Tuttavia, secondo i giudici d'appello, lo scenario in cui maturò il delitto ha caratteristiche analoghe ai delitti di criminalità organizzata.

Partiamo da Mario Illuminato: piccolo imprenditore napoletano, con base a Medesano, è lui, anche secondo i magistrati bolognesi, il mandante dell'omicidio. Lui che aveva una relazione con la cognata Nunzia Visconti, la vedova di suo fratello Salvatore, trovato morto nell'agosto 2003 dentro il bagagliaio della sua auto in un parcheggio di Casalecchio di Reno. Una morte mai chiarita, per la quale durante il processo Mario Illuminato ha accusato Gennaro, il padre di Nunzia Visconti, e Guido, lo zio della donna. Una ricostruzione frammentaria e confusa, ma che fa capire quanto i rapporti tra le famiglie si reggessero su equilibri pericolosissimi. Come quelli tra Illuminato e Guarino, inizialmente amici, poi divisi dai soldi dell'usura e da Nunzia, la donna che aveva preferito il boss di Barra all'amante storico.

E' il primo ad essere arrestato, Illuminato, il 17 marzo 2011. I carabinieri del Nucleo investigativo gli trovano in casa il Rolex Daytona di Guarino, sparito dalla villetta di via Fenoglio proprio la notte del delitto. Una prova schiacciante, tuttavia lui continua a negare. Fino a una delle ultime udienze del processo di primo grado, quando ammette di aver ammazzato Guarino dopo aver litigato con Nunzia che gli aveva confessato i tradimenti. Nessun complice, dunque, un delitto d'impeto. Ma, secondo la Corte d'appello, «l'imputato ha sicuramente mentito su molteplici circostanze, nel senso, in primo luogo, che gli elementi acquisiti nell'istruttoria provano con certezza che alla consumazione dell'omicidio parteciparono anche il Sinatra e l'Acampa e che il delitto fu premeditato».

Sinatra, il killer. Acampa, origini napoletane e casa a Collecchio, il complice che ebbe un ruolo determinante nel procurare al gruppo la 7,65 per ammazzare Guarino, tramite l'amico Gennaro Trambarulo, «un esponente di vertice di uno dei più sanguinari clan della camorra napoletana», scrivono i giudici. Non solo. Secondo la Corte d'appello, pochi giorni prima del delitto, «è senz'altro possibile che, non avendo la stessa caratura criminale, l'Illuminato si sia recato a Napoli per ottenere il benestare di qualcuno che, come il Trambarulo, potesse proteggerlo da eventuali vendette degli affiliati al clan Celeste-Guarino».

Il contesto camorristico. E su quello sfondo gli interessi di Illuminato, di Acampa (il suo «braccio destro nell'ambito della criminosa attività usuraria», scrivono i giudici), ma anche quelli di Sinatra, siciliano, residente a Noceto. Sulla posizione di quest'ultimo hanno avuto un ruolo pesantissimo anche per i giudici d'appello le dichiarazioni di Roberto Naddeo, l'amico di famiglia che nell'agosto 2011 comincia una breve relazione con Samantha Granata, la compagna di Sinatra. E' lui che poi rivela agli inquirenti le confidenze della donna: lei che dice all'amante di aver saputo dal compagno che fu lui a sparare a Guarino, lei che racconta dei vestiti gettati in un cassonetto, della fuga al Sud per evitare la prova dello stub subito dopo il delitto. Tutte dichiarazioni che poi la Granata riferisce al pm, senza però firmare il verbale, e che smentisce al processo, ma che la Corte d'assise di Parma aveva deciso di acquisire nella penultima udienza, perché il processo aveva dimostrato che la donna aveva ricevuto denaro e pressioni per tacere. A spingere Sinatra ad uccidere sarebbero stati i soldi, la garanzia di poter contare su una tranquillità economica: «la Granata per un lungo periodo di tempo fu retribuita dai congiunti di Mario Illuminato affinché - scrive la Corte d'appello - tacesse ciò che sapeva sull'omicidio di Guarino».

Nessuna attenuante. Tre ergastoli confermati. Per un omicidio in stile mafioso.

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