×
×
☰ MENU

Picchiato da un pusher durante la ronda

Picchiato da un pusher durante la ronda

di Laura Frugoni

07 Agosto 2015, 08:46

Laura Frugoni

«Il rischio c'è sempre, lo sapevamo dall'inizio. E se invece di darmi un pugno in faccia quello tirava fuori un coltello?»

La domanda rimane sospesa nell'aria rovente del salotto di Mohamed: la sua faccia è una maschera tumefatta, occhi semichiusi e naso enorme, «steccato» e coperto dalle garze: la botta fa un male cane ma lui quasi se ne dimentica preso com'è dal filo del discorso. Racconta, s'infervora, quando si ferma per riprendere fiato ci pensa Sara, piccola guerriera quindicenne, una dei suoi quattro figli, a raccontare perché è giusto che il papà vada a fare le ronde in strada anche se sono pericolose.

Già, perché per il Comitato antidegrado di via Savani - finito il tempo degli applausi e dei «bravi» a scena aperta, con giusto qualche critica sussurrata sottovoce - è arrivato un momento che nessuno si augurava e qualcuno temeva: quello della conta dei feriti.

Mercoledì sera Mohamed s'è beccato un pugno in faccia da un pusher. Un colpo micidiale che gli ha spaccato il naso. Il referto parla chiaro: «frattura scomposta delle ossa nasali», trenta giorni di prognosi.

Non è l'unico ferito, lui stesso racconta che l'altra sera all'ospedale c'è finito un altro della ronda, un ex poliziotto. «Il pusher gli ha lanciato la bicicletta, ed è stato colpito a un braccio: ingessato, trenta giorni anche per lui».

Cinquant'anni compiuti il 6 luglio scorso, tunisino, Mohamed fa il muratore e abita in un popoloso condominio di via Savani con la sua famiglia da quasi due anni. L'inverno scorso è stato uno dei primi a scendere in strada ma prima di mettere in fila i morivi della sua crociata anti-spaccio accetta di ripercorrere quello che è successo mercoledì sera.

«Eravamo in una decina del solito gruppo, abbiamo cominciato a fare il giro come ogni sera. A un certo punto abbiamo visto quei due: li avevamo incrociati tante altre volte, fanno parte di un gruppo molto più grosso».

Dove avete incontrato i due pusher? «In viale Piacenza, vicino all'ingresso dell'istituto Bodoni. Sai dove c'è la fermata dell'autobus e dietro il piccolo parcheggio? Stanno sempre lì. Ci siamo avvicinati: “qui non si spaccia, andate via”. E loro come al solito hanno fatto finta di non capire: “parlo english, non comprendo italiano”. Uno ha mandato a quel paese Angela, una signora che viene spesso con noi. A quel punto è intervenuto Gino, un altro giovane del Comitato: “adesso chiamo la polizia” e ha preso il telefonino. Uno dei due spacciatori è diventato aggressivo, mi ha dato uno spintone e ha preso la bici. Voleva scappare, abbiamo cercato di trattenerlo: “Adesso stai qua”. Ha cominciato a dire parole brutte, ha lanciato la bici che ha colpito il nostro amico e si è allontanato ma non di molto. Gino era sempre al telefono con la polizia e a un certo punto quello è tornato indietro: ce l'aveva con lui, voleva prendergli il telefono. Stava per colpirlo quando mi sono messo in mezzo: e il pugno l'ho preso io».

Gli occhiali di Mohamed volati a terra con una lente rotta, la faccia ridotta a una maschera di sangue. In viale Piacenza è arrivata la polizia e poi un'ambulanza che l'ha accompagnato al pronto soccorso: è uscito dall'ospedale alle due del mattino.

Ne valeva la pena? «Certo - risponde senza la minima esitazione - questo è l'unico modo per farli andare via. Io sono stato il primo a scendere in strada. Ero esasperato: un mio amico di colore una sera era venuto a cena a casa mia, dopo tre giorni l'ho incontrato, mi ha detto. “ da te non vengo più”. Gli spacciatori sotto casa mia l'avevano accerchiato, e perquisito. L'hanno spaventato a morte».

«Il papà l'ha fatto per me - interviene Sara, fisico minuto e occhi vispi - ogni volta che tornavo a casa con l'autobus mi seguivano: prima dieci, poi venti. Importunavano me e le mie amiche: urlavano, mandavano baci, ci mancava solo che mi mettessero le mani addosso. Non riuscivo a studiare: erano sempre sotto le nostre finestre. Li ho visti che si “facevano”, si picchiavano. Sempre qua sotto». Papà dunque fa bene a fare le ronde? «Sì, è una cosa giusta. Se fosse da solo gli direi di non andare, ma c'è tanta altra gente».

Mohamed, rispondi all'avvocato del diavolo: c'è chi dice che voi delle ronde siete violenti, chi obietta che non siete attrezzati per “trattare” con certa gente, qualcuno tira in ballo anche il razzismo. «Il razzismo non c'entra niente - scuote la testa Mohamed - io stesso sono tunisino e nel Comitato siamo in due. Ho tanti amici di colore, che mi danno ragione. Noi non siamo violenti, non andiamo in strada armati di coltelli o catene, abbiamo le mani libere. Parliamo e basta. E comunque abbiamo fatto molto: rispetto a gennaio la situazione è migliorata parecchio. La maggior parte è andata via, ha cambiato aria».

Sono rimasti in strada gli ossi più duri. I più pericolosi. «Sì, ma se noi torniamo indietro adesso è finita. Ce li ritroviamo tutti qui di nuovo, ancora più aggressivi».

Se Mohamed non arretra di un passo, nelle parole dell'amico Gino oggi si sente soprattutto lo sconforto: «Faremo una riunione con tutti gli altri - dice - dobbiamo parlare di quello che è successo. Non ci aspettavamo una reazione del genere, così violenta: noi in strada scendiamo tutti i giorni, ma se poi dobbiamo anche prenderci gli schiaffoni... La verità è che questa situazione non interessa più a nessuno. Il sindaco, i politici: tutti sanno benissimo come stanno le cose ma nessuno muove un dito».

Mohamed ha qualche idea per diminuire i rischi delle ronde? «Sarebbe una buona cosa che un poliziotto o un carabiniere venissero a fare un giro insieme a noi, anche soltanto un'ora. L'abbiamo proposto, ma pare non sia possibile: ci vogliono le autorizzazioni, l'ok del prefetto...».

Tornerà in strada? «Certo che ci torno, e anche presto: io non ho paura. Non lo faccio per me ma per i miei figli e per il quartiere». Sara lo guarda orgogliosa: «Solo quando ero in ospedale ha saltato la ronda per stare con me. Gli anziani quando ci incontrano ci dicono grazie. Mio papà ha la testa dura».

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI