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Bagni nei fiumi, la mappa dei rischi

13 Luglio 2016, 05:09

BEDONIA

Monica Rossi

«Ogni ora di ogni giorno più di 40 persone perdono la vita per annegamento», afferma Margaret Chan, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel Report globale sugli annegamenti («Global report on drowning-preventing a leading killer»).

La pubblicazione, redatta nel 2014, è oggi purtroppo più che mai attuale se ripensiamo alla recente tragedia avvenuta il 24 giugno scorso nelle acque dell’Enza, tra le località Currada e Compiano di Canossa, dove a perdere la vita è stata una 24enne e dove, appena due giorni dopo, altri tre giovani hanno rischiato di annegare se non fosse stato per il tempestivo cordone umano che li ha portati in salvo. Le cause della tragedia sono da imputare alla forza della corrente, che ha letteralmente trascinato sott’acqua la ragazza e con lei il cugino quindicenne, che invece si è salvato. Correnti insidiose, dunque, o sifoni, colini, nicchie e incastri sono alcuni fra i nemici più temibili per chi d’estate cerca refrigerio nei fiumi e spesso non è cosciente dei rischi, soprattutto se non conosce il territorio.

Come l’Enza, anche le alti valli del Taro e del Ceno sono disseminate di spiaggette e anse immerse nel verde fra laghetti, fondoni e dighe dove sono in molti a recarsi per fare il bagno e trascorrere una giornata di relax. Località dove sono cresciute e vi hanno trascorso le loro estati intere generazioni di villeggianti e non: il Groppo di Tornolo e la diga di Borgotaro, ad esempio, ma anche le «Casette in Canada» in località Borio, lungo il Taro subito dopo Bedonia, il Gotra di Albareto, così come il suggestivo «Profondo» del fiume Ceno di Masanti di Sotto, o la diga di Ponte Lecca, fra i comuni di Bedonia e Bardi, dove il torrente Lecca si getta nelle acque del Ceno.

«Il Taro non presenta particolari criticità - afferma Mauro Mallero, da poco ex presidente della Croce Rossa di Bedonia e memoria storica di queste valli dopo 44 anni di volontariato - anche se è plausibile affermare che da un anno all’altro un fiume può cambiare la propria morfologia all’insaputa di chi lo frequenta». Le piene dell’inverno infatti possono creare nuove insidie laddove prima non c’erano. Mentre i più sono pressoché concordi nell’affermare che il Taro è sicuro e non presenta criticità salvo cambiamenti dovuti a eventi naturali, il Ceno invece è un’altra faccenda, scorrendo in aree decisamente più accidentate dove non mancano i salti d’acqua, alcuni dei quali spettacolari come nel caso del «Profondo» di Masanti di Sotto. «Può essere più rischioso, se non si conosce il territorio», è l’opinione dei più, in particolare dei pescatori della zona che mettono in guardia contro le piene improvvise. «Possono infatti verificarsi anche d’estate quando si scatenano burrasche brevi ma particolarmente intense». «Eccezion fatta per il caso di un canoista genovese o della piccola Alice che, nella primavera del 1998, era scivolata nelle acque ancora in piena del “Profondo” di Masanti, non si ricordano fatalità nei nostri fiumi» afferma ancora Mallero. «Rispetto al passato, inoltre, è diminuita sensibilmente la percentuale di chi non sa nuotare e dunque gli incidenti dovuti all’inesperienza sono pressoché nulli». In generale, i bagnanti che affollano i fiumi dell’Alta Val Taro e Ceno in questa stagione dichiarano di essere tranquilli e di frequentarli abitualmente senza pensieri. «Certo, i pericoli ci possono essere, ma sono imputabili per lo più a malori o distrazioni, come un tuffo mal riuscito o eseguito laddove il fondale non è più sufficientemente profondo», afferma un frequentatore abituale del Groppo, dove sono passati alla storia alcuni fra i più spettacolari «salti dalla roccia».

L'ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ: «SERVE UNA SEGNALETICA»

È da poco uscito il Rapporto Istisan 2016 «Incidenti in acque di balneazione: verso una strategia integrata di prevenzione degli annegamenti», a cura dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e della Società Nazionale di Salvamento. Stando ai dati degli ultimi anni, sono stati tanti gli annegamenti nei fiumi della nostra regione. E l’estate 2016 è iniziata male, se pensiamo alla tragedia di Canossa.

Ma può davvero essere pericoloso un bagno al fiume? Dipende. Durante la stagione estiva, i fiumi - soprattutto quelli in collina - possono nascondere insidie, pericolose anche per i nuotatori esperti. Si pensi ad esempio al fenomeno del «sifone», un passaggio posto sotto un ostacolo (come un masso), dove la corrente diventa più forte a causa dell’effetto Venturi (o «paradosso idrodinamico», il fenomeno fisico, scoperto e studiato dal fisico Giovanni Battista Venturi, per cui la pressione di una corrente fluida aumenta con il diminuire della velocità, ndr). Una condizione particolare, questa, che fa sì che un bagnante rischi di essere risucchiato con scarsa possibilità di risalire. Cosa fare? Come comportarsi? Secondo Enzo Funari, dirigente del «Dipartimento di Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria» dell’ISS e co-autore del Rapporto Istisan, «le amministrazioni locali dovrebbero intervenire con un’informazione adeguata, segnalando i pericoli e organizzando un servizio di vigilanza e intervento nelle località balneari, siano essere costiere, fluviali o lacustri. Purtroppo, la prevenzione degli annegamenti non viene affrontata in modo organico e oggi non esiste un piano nazionale». Dovrebbero insomma essere le amministrazioni centrali a prendere iniziative più forti, «affinché il diritto e il piacere di bagnarsi in acque pubbliche non si trasformi in pericolo». Occorre quindi anche una segnaletica specifica, frutto di ricognizioni regolari che tengano conto dei dati storici. Ma non solo... «Perché non si stabilisce per legge che sui lidi di fiumi e laghi maggiormente frequentati debba esserci un bagnino, come avviene invece in molte spiagge libere costiere?». Nel frattempo, in attesa che il Ministero della Salute attui un piano nazionale come richiesto dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, sono i media a svolgere un ruolo centrale in termini di informazione e sensibilizzazione. Come si legge infatti nel Rapporto Istisan, «i dati e le informazioni riportati dagli organi di stampa sono preziosi per gettare luce sui luoghi, le cause, le modalità e la tempistica di un incidente». M.R.

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