Monica Tiezzi
L'accorpamento dei reparti dell'ospedale Maggiore? «Inevitabile. Ma una cosa vorrei fosse chiara: nulla cambia per i pazienti, nella disponibilità di posti letto così come nei percorsi assistenziali». Il rettore dell'Università Loris Borghi interviene sulla decisione - presa di concerto con il direttore generale dell'Azienda ospedaliero-universitaria Massimo Fabi - di «sopprimere» (così, testualmente, nella comunicazione aziendale) cinque reparti. Un termine che ieri ha chiarito l'Azienda ospedaliero-universitaria con una nota nella quale scrive che «“soppressione” indica il superamento organizzativo e non la chiusura dell’attività assistenziale».
La comunicazione della riorganizzazione dei reparti, a firma del direttore del personale, è arrivata lunedì ai rappresentanti sindacali di medici e infermieri, creando preoccupazione nelle corsie del Maggiore. I reparti coinvolti sono semeiotica, ortopedia, centro cefalee, clinica e terapia chirurgica e clinica trapianti d'organi. Tutte strutture - eccetto ortopedia - a direzione universitaria.
Di fronte alle critiche di medici e dirigenti - cui ieri ha dato voce la Gazzetta - Loris Borghi difende la scelta di accorpare più reparti. Le due chirurgie, infatti, saranno riunite in una chirurgia generale, affidata a Luigi Roncoroni, mentre l'ortopedia confluirà nella Clinica ortopedica, sotto la guida di Enrico Vaienti.
«La riorganizzazione dell'ospedale è partita da tempo ed è stata concordata con il direttore generale Massimo Fabi. È un progetto complesso e articolato, che prende le mosse anche dalla necessità di garantire masse critiche di attività alle varie strutture, sia per aiutare la crescita professionale dei medici, soprattutto quelli più giovani, che per evitare frammentazioni costose e duplicazione di strumentazioni», premette Borghi.
È un processo, fa notare il rettore, analogo a quello dell'imprenditoria, dove «in un mercato altamente competitivo, non stanno in piedi le micro-aziende ma quelle robuste», e che sta portando avanti anche l'ateneo di Parma, «che dal primo gennaio passerà da 18 a 9 dipartimenti». Sono cambiamenti, sostiene ancora Borghi, «di cui beneficeranno studenti e pazienti. Non abbiamo interesse a mantenere uno spezzatino nel quale vengono duplicate funzioni e strumentazioni, magari solo per compiacere qualche primario. Ce lo impone la spending review e le leggi nazionali che indicano chiaramente una riduzione delle strutture».
Borghi entra anche nel merito di altri reparti coinvolti: «La semeiotica, ad esempio, dove pure io sono cresciuto: con il pensionamento del dirigente, aveva ormai solo tre medici e otto letti. La riorganizzazione ha sancito un processo già in atto. Per quanto riguarda le due chirurgie, sono stati coinvolti nel progetto di riordino tutti i massimi dirigenti. È un'operazione sensata riunirle, garantendo molte competenze e prospettive di crescita. Lo stesso vale per le ortopedie e, di recente, per l'operazione che ha riunito le due cliniche mediche».
Il problema per Borghi, a ben vedere, è un altro: «Negli ultimi 15-20 anni le nostre scuole in diversi casi non sono riuscite a produrre adeguate professionalità per sostituire chi è andato in pensione. Abbiamo dovuto reclutare all'esterno dirigenti medici che non eravamo riusciti a formare al nostro interno. È successo ad esempio, e cito a memoria forse dimenticando qualche specialità, con ginecologia, medicina legale, ematologia, chirurgia vascolare, genetica medica, dermatologia. Forse questo ospedale ha dormito troppo a lungo sugli allori. Occorrono scelte innovative - conclude il rettore - per invertire la tendenza».
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