Chiara Pozzati
Nel corridoio costellato di celle aperte dove 50 detenuti vagano liberamente e un solo agente, disarmato, li controlla. Succede anche questo in una sezione detentiva del penitenziario di Parma: «Com’è possibile così arginare una rivolta, una rissa o un potenziale attacco a un altro detenuto? Siamo allo sbando, al collasso: a fronte di 600 detenuti siamo 317, oltre 100 unità in meno rispetto a quelli previsti per legge. La carenza di organico della Penitenziaria è arrivata a quota 30%, il doppio rispetto alla carenza nella media nazionale. E lanciamo un appello alla città perché si sollevi: continuiamo a ricevere carcerati, soprattutto stranieri, che plausibilmente rimarranno qua andando a rimpinguare le filiere della microcriminalità». Ecco la fotografia che emerge dal sit-in di chi dentro al carcere di via Burla lavora ogni giorno in trincea. Partiamo con un altro dato bomba: «Con la costruzione del nuovo padiglione all’interno dell’istituto penitenziario altri 200 detenuti dovrebbero approdare qua, condannando il personale non solo a carichi di lavoro ulteriori, ma anche a non adempiere in maniera corretta il proprio mestiere. Come possiamo garantire la sicurezza dei detenuti e il controllo in questo modo?». Ci sono fischietti e bandiere di fronte al carcere solitamente silenzioso. A farsi portavoce della «situazione-polveriera» il Sappe, l’Osapp, Uilpa, Fns Cisl, Cigl, Cnpp, Uspp: insomma un’infilata di sigle dei sindacati del settore. E il quadro che ne emerge è più che fosco: «Abbiamo reparti delicati come il 41bis – che ospita 60 carcerati – e l’unico centro clinico attivo 365 giorni l’anno che accoglie detenuti da tutta Italia, alimentando un “turismo sanitario” che sottrae personale. Non solo: non abbiamo una formazione adeguata e sono già 35 le aggressioni subite dai nostri agenti da inizio anno ad oggi» si rincorrono le voci dei manifestanti. C’è poi il curioso caso della scuola della Penitenziaria della Certosa: «Dove attualmente non ci sono corsi, non ne sono previsti eppure abbiamo cento colleghi distaccati non si sa a fare cosa». Altro aspetto non di poco conto: «l’autogestione del reparto di semilibertà – spiegano gli agenti – quello dedicato cioè ai detenuti che lavorano di giorno e tornano di sera. Non funziona come altrove: gli orari sono scaglionati e il responsabile viene spesso dirottato a supporto degli altri reparti. In questo modo alcuni detenuti attendono anche mezz’ora in una stanza con un solo altro agente prima di essere scortati alle proprie stanze». Per inciso: «stanze aperte dov’è presente solo una telecamera che inquadra solo una piccola parte del corridoio».
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