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Falcone e Borsellino, il market dello spaccio

Falcone e Borsellino, il market dello spaccio

03 Novembre 2016, 12:35

Luca Pelagatti

E' come in un'azienda di successo: ognuno ha il proprio ruolo. C'è chi si occupa di consegne e chi si incarica della logistica, chi gestisce la mensa e chi riceve gli ordini. Tutti insieme poi si fanno in quattro per proteggere la sede aziendale da chi la vuol fare fallire. Se questi però portano la divisa e si occupano di fare rispettare la legge non conta: gli affari vengono prima.

No, non è una lezione di stravagante economia aziendale, ma l'istruttiva lezione che si apprende passando una giornata al parco Falcone e Borsellino, tra via Mantova e l'Auditorium Paganini. Dove da mattina a sera opera a pieno regime uno dei più attivi market dello sballo della città. La differenza coi negozi è evidente: qui non c'è turno di riposo. E neppure un orario di chiusura.

La giornata di lavoro al parco inizia già al mattino: non prestissimo, certo, che questo è un business che si intensifica con l'avvicinarsi della sera. Ma qualcuno che presidia le panchine e si prepara a rifornire i clienti arriva già di buon'ora.

«Io, ad esempio, al parco scendo solo di mattina. Dopo non mi fido più - lamenta un'anziana che abita in una casa affacciata su via Mantova e che si trascina a passi minuscoli, seguita dalla badante -. Prima, fino a qualche tempo fa, non mi dispiaceva quando il tempo era buono sedere un po' sulle panchine, ma ora non me la sento più. Anche perché tanto non le trovi mai libere. Ci sono sempre loro».

Loro: ovvero la pletora di ragazzi di colore che stazionano da mattina a notte, soprattutto nell'incrocio tra gli stradelli che tagliano il parco. E che su quelle panchine hanno fondato la loro impresa. O meglio: su quelle sedute chiacchierano e bevono birra, telefonano e poltriscono. Per poi partire come razzi pedalando sulle bici. Perché il cliente ha sempre ragione. E non deve aspettare.

Verso le 13 arrivano anche i rifornimenti. Non c'è bisogno di essere un habitué per rendersene conto: a fine mattina una donna di colore arriva con borse piene di panini e pacchetti assortiti e distribuisce il pranzo ai lavoratori. Poi, se la stagione è buona, stende anche una coperta sull'erba e si corica con a fianco un paio di bambini. L'effetto pic-nic potrebbe anche essere bucolico e rassicurante, se non fosse che la cambusiera non smette di guardarsi intorno con occhi instancabili. Se nota qualcosa che la insospettisce, scatta la segnalazione ai pusher seduti poco lontano. «È così: ci sono alcune donne che riforniscono gli uomini e poi svolgono una specie di compito di vedetta», spiegano i residenti, che raccontano che, nella suddivisione dei ruoli, c'è anche chi si occupa di tenere a bada la sete. «Qualcuno tra i più giovani, ad intervalli regolari, parte per andare a comprare le birre per il gruppo. E durante l'estate, quando fa caldo, di bottiglie ne svuotano una enormità».

Già, ma questo in fondo non è reato. Così come le panchine sono di tutti. Chi prima arriva ha diritto di sedersi. Quindi di cosa si lamenta la gente della zona che da tempo chiede, semplicemente, che il parco torni ad essere di tutti? «Una richiesta banale: che questa non sia più la sede sociale della centrale dello spaccio», raccontano in coro alcuni dei frequentatori dell'area cani. Quelli che venendo qui due volte al giorno in compagnia degli amici a quattro zampe hanno fotografato cosa succede in ogni angolo del Falcone e Borsellino.

«Lo smercio di sostanza è evidente anche se, paradossalmente, si svolge più fuori che all'interno del parco. Qui nascondono le sostanze e prendono l'ordine. Poi vanno a consegnare». Malignità di intolleranti e razzisti? Non proprio. Perché la procedura è codificata. E ci vuol poco per comprenderla. Tanto si ripete ogni pochi minuti. La maggior parte dei pusher, africani giovanissimi sempre in sella a bici spesso molto nuove e fornite, chissà perché, di seggiolini per i bimbi, parla incessantemente al telefono. Poi, pestando decisi sui pedali, si dirigono ai luoghi del passaggio: soldi contro dosi. Di coca, fumo o marijuana, a piacer vostro.

Un luogo deputato per lo scambio è il parcheggio che sta al bordo del parco, dalla parte di via Mantova, di fronte a via Parigi. Ancora più gettonati gli spazi di sosta intorno a via Provesi e via Paisiello. «I clienti non devono neppure scendere, il passaggio avviene dal finestrino. In un lampo tutti se ne vanno soddisfatti». I clienti a pregustare lo sballo quotidiano, i venditori sulle panchine ad attendere il prossimo affare. «Mentre la droga la nascondono nel parco e nelle recinzioni», svela un pensionato che qui viene a consumare il suo pomeriggio allenando il fiato in bici. E che mostra un gruviera di terra sotto le reti dei palazzi, quelli dei numeri interni di via Mantova, tra le siepi o sotto gli alberi con le chiome a ombrello. «Per carità, non vorremmo drammatizzare, non vorremmo che uscisse un quadro disastroso, non siamo mica a Scampia. Però è una realtà che tutti conoscono».

Un quadro che si svela ancora meglio quando il buio inizia a calare. Già una sosta di qualche minuto su una panchina nel bel mezzo del pomeriggio permette di capire che non si tratta solo di una percezione. Per terra, nell'erba, tra la legione di cicche di sigaretta e i tappi corona delle birre, si notano i pezzi di cellophane con cui si incartano le dosi. E basta alzare le narici per fare aerosol di inequivocabili sentori di ganjia. «L'altro problema riguarda l'area giochi per i bimbi», rincara una delle mamme che si ostinano a bazzicare quello che è, in ogni caso, uno splendido spazio verde. «La zona dei giochi è a pochi passi dal punto dove si concentra la gran parte di questi giovani di colore. Bevono molto e di conseguenza devono fare pipì. Quale zona migliore da trasformare in latrina delle siepi intorno ai giochi e i giochi stessi?». Si intende, la frase è detta con ironia. Ma il risultato è che di bimbi intenti a correre se ne vedono pochi. Qualcuno, malignamente, sostiene che si tratta, anche questa, di una strategia: meno gente del quartiere vive il parco, più è facile lavorare. S'intende, se il lavoro non è previsto dalle leggi.

In questa stagione poi, adesso che il tramonto arriva prima, il parco si spopola di buon'ora. E con il buio la zona diventa off limits. La riprova, semplice e banale, si ottiene arrivando quando il Falcone e Borsellino è illuminato solo dai lampioni. Basta fermarsi per un attimo sugli stradelli e fare balenare nel buio la luce del cellulare per fare scattare un fuggi fuggi di ombre nel buio.

Sono ancora loro, gli spacciatori, che aspettano fuori dal cerchio luminoso, sotto la protezione degli alberi, e che temono ogni sorpresa. Potrebbe essere un'operazione delle forze dell'ordine, una retata di uomini in divisa, insomma, un problema. Meglio quindi allontanarsi. Tanto, tra un po' la lampada si spegnerà, il parco tornerà tranquillo e il market dello sballo tornerà a macinare utili. Questa è un'azienda, lo abbiamo detto, occorre lavorare. I concorrenti, se ci sono, si controllano con le lame. Per il resto, al parco Falcone e Borsellino la situazione è eccellente. E la crisi, strano destino, non si sa neppure cosa sia.

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