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I clandestini a casa? Venti in un anno

I clandestini a casa? Venti in un anno

30 Marzo 2019, 07:10

Chiara Pozzati

Espulsioni e rimpatri al palo. Nonostante l’allerta antiterrorismo, gli sforzi delle divise, la collaborazione tra polizia giudiziaria e tribunale, anche Parma affanna tra burocrazia e leggi paradossali. «Nel 2015 sono stati una ventina gli stranieri non in regola riaccompagnati a casa».

Una goccia nell’oceano. Ma perché questo accade? «Il primo scoglio è appurare l’identità delle persone. Avviare l’attività d’identificazione per l’Ufficio Immigrazione della Questura non è semplice. La collaborazione coi consolati ha tempi lunghi e non sempre alcune nazioni sono disponibili a procedere celermente. Possono passare tre, quattro mesi come minimo, prima che arrivino conferme dalle autorità consolari straniere».

Ad accompagnarci in questo vorticoso viaggio nella rete delle istituzioni è Andrea Camporesi, segretario provinciale del Sindacato autonomo di polizia (Sap). Vent’anni in servizio all’ufficio Immigrazione, ora è tornato alle Volanti.

Quante volte abbiamo visto agenti e militari rivoltare piazza della Pace come un calzino.

E quante volte ci siamo chiesti perché non fosse possibile intervenire. A rispondere è lui: «Nel caso in cui una persona non è in possesso dei cosiddetti “documenti validi all’espatrio o utili all’identificazione” la procedura è sempre la stessa. Lo straniero viene fermato e portato in questura per il fotosegnalamento – prosegue il numero uno del Sap Parma -. Il fermo per l’identificazione dura dodici ore, dopodiché la persona non può essere trattenuta ma viene invitata a presentarsi il giorno dopo. Pur essendoci indizi inquietanti a suo carico, non è possibile espellerla perché non ufficialmente riconosciuta da nessun Paese».

Questo, s’intende, se non ci sono altri inghippi. Per esempio la scoperta di falsi nominativi e di alias è una delle attività investigative che impegna maggiormente gli uomini dell’Immigrazione.

Ammettiamo pure che alla fine venga appurato che il «clandestino» ha una fedina linda e immacolata - nessun precedente - e che si riesca a identificarlo. A questo punto comincia la trafila per l’espulsione amministrativa: «Arriva tramite decreto a firma del Ministro dell’Interno o del prefetto e che poi viene attuata tramite decreto del questore – chiosa ancora Camporesi -. L’ultima parola però spetta al tribunale. L’iter burocratico dev’essere vagliato da un giudice di pace che convalida il decreto».

Facile dirlo, difficile concretizzarlo. Talvolta riuscire a far collimare gli orari è un’impresa. Per esempio basta la mancanza di un interprete, dell’avvocato dello straniero, o uno slittamento extra dell’udienza per far perdere il volo all’espulso.

Con costi altissimi per imbarcarlo sul prossimo volo utile. «Non solo: se si tratta di una persona turbolenta occorre prevedere la scorta che lo accompagni a bordo dell’aereo. Questo sottraendo forze alla Questura».

Un capitolo a parte sono invece le espulsioni giudiziarie. In questo caso ad emettere il provvedimento è la stessa autorità giudiziaria, non occorre un ulteriore passaggio in aula e si tratta perlopiù di misure alternative alla cella.

«Prima del decreto “Svuotacarceri” era prevista l’espulsione alternativa al carcere per condanne inferiori ai due anni – spiega il segretario del Sap -. Con l’entrata in vigore del decreto è impossibile. Per i condannati non in via definitiva, a pene inferiori ai tre anni, sono previsti gli arresti domiciliari».

Peccato che molto, troppo spesso, i domicili siano fittizi e così diventa impossibile mettere in moto la procedura d’espulsione. Mentre i fantasmi senza nome, senza documenti, da non confondere con chi è in fuga per la salvezza, popolano le nostre strade.

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