Georgia Azzali
Sorelle d'affari, la cellula emiliana di 'ndrangheta e la casa madre cutrese. Che sanno stemperare insieme le tensioni quando qualcosa sembra andare storto. Mai rivali, ma complementari. La prova «più emblematica» di questa integrazione perfetta? L'affare Sorbolo: la maxi operazione immobiliare da 15-20 milioni di euro dietro cui si è mossa la cosca Grande Aracri. A scriverlo, è il gup Francesca Zavaglia nelle motivazioni del processo Aemilia, che si è chiuso lo scorso aprile con 58 condanne in abbreviato, 17 patteggiamenti e 12 assoluzioni. «...il ruolo della cosca cutrese - spiega il giudice riferendosi al caso Sorbolo - è stato sostanzialmente di immissione di denaro finalizzato al reimpiego in svariate attività economiche che la dinamica realtà emiliana (più di quella calabrese) offre, sfruttando proprio l'autonomia del sodalizio emiliano che, ben conoscendo il tessuto locale, può agire con ampi spazi di indipendenza realizzando anche propri profitti. Da ciò deriva reciproco arricchimento e stabilizzazione». Oltre 200 unità immobiliari, di cui 133 ora confiscate insieme a 13 terreni, tra via Genova, via Torino, via Trieste, via Montefiorino e via Marmolada: ecco il grande quartiere che ingolosisce il clan fin dalla metà degli anni 2000 e su cui poi la 'ndrangheta mette le mani a partire dal 2011, quando l'impresario sorbolese Francesco Falbo è sempre più a corto di soldi per mandare avanti le sue società immobiliari. Il «ruolo chiave»? Secondo il giudice, quello di Giuseppe Giglio, l'imprenditore crotonese trapiantato a Montecchio, condannato a 12 anni e 6 mesi ma anche primo pentito del processo Aemilia. «Trait d'union» con la casa madre calabrese era Romolo Villirillo, uno dei capi dell'organizzazione emiliana, condannato a 12 anni e 2 mesi. «Nell'affare Sorbolo Villirillo, tramite Cappa Salvatore, ha immesso nelle imprese immobiliari coinvolte somme di denaro provenienti dalla cosca Grande Aracri di Cutro non precisamente quantificabili, ma - scrive il gup - certamente nell'ordine delle centinaia di migliaia di euro». Nel marzo 2011, infatti, Giglio, Falbo e Giuseppe Pallone (cutrese, residente a Parma, e condannato a 5 anni e 10 mesi per estorsione e reimpiego di soldi della cosca, ma assolto dal reato di associazione mafiosa) vengono affiancati nelle società K1, Gea Immobiliare e Aurora Building dal nuovo amministratore Cappa. «Circostanza già di per sé ambigua - sottolinea il giudice - se si considera che i cantieri erano valutati per milioni di euro e Cappa non possedeva, almeno formalmente, alcuna quota partecipativa nelle imprese, né certo conclamate capacità per gestire il momento di crisi che in quel periodo i soci stavano attraversando. La nomina di Cappa andava quindi ricondotta alla necessità del "socio occulto", fatto emerso con certezza dalle intercettazioni, di avere un maggiore e più diretto controllo dell'affare, visti gli ingenti capitali investiti da Cutro».
Ma poi Falbo si sente sempre più il fiato sul collo del clan e comincia ad alzare la voce, anche se poi dovrà dire addio a tutte le sue società. Insomma, la situazione rischia di complicarsi, anche perché l'imprenditore minaccia di fare denuncia (che poi farà nell'aprile 2012, dopo aver ricevuto una busta con dei proiettili), così nell'affare intervengono direttamente i capi del clan emiliano: Alfonso Diletto, i fratelli Nicola e Gianluigi Sarcone e Michele Bolognino. Ed è proprio Bolognino - il boss con casa e affari a Parma, tra cui alcune società e l'ex discoteca Astrolabio - a fare alcuni viaggi a Cutro. Il 7 febbraio 2012, in particolare, raggiunge il paese calabrese con Giglio. L'obiettivo? Incontrare «Manuzza», il grande capo Nicolino Grande Aracri. E' lo stesso Bolognino, il giorno dopo, parlando al telefono che dice: «Sono partito ieri mattina e quando non rispondevo, voleva dire che ero, che parlavo con lui, sono stato giù». Lui, secondo gli investigatori, è il super boss. E il gup scrive: «Che l'operazione immobiliare di Sorbolo fosse attentamente controllata da Cutro lo testimonia anche il coinvolgimento di Nicolino Grande Aracri». E il ruolo di Falbo? Parte civile al processo, è stato ritenuto vittima di estorsione per le pressioni subite dal clan. Ma era anche imputato di reimpiego di soldi della cosca: ha tentato di patteggiare 1 anno e 11 mesi con la condizionale, dopo aver raggiunto l'accordo con la procura, ma il giudice ha rigettato la richiesta. Che, tuttavia, potrà essere riproposta. Il giudice, infatti, pur ritenendo che il fatto che Falbo abbia sollecitato le riunioni di vertice del clan «assume certamente valore indiziario circa la sua contiguità all'ambiente malavitoso di riferimento», aggiunge: «Falbo non ha ottenuto nulla di quanto aveva motivo di pretendere, non potendosi pertanto sostenere che lo stesso fosse spalleggiato dai boss». L'affare Sorbolo, però, è stata un'occasione (seppure dall'esito fallimentare) per far girare e ripulire i soldi della cosca calabrese. «La stessa accortezza nelle consegne del denaro (talvolta spedito attraverso compiacenti autisti di pullman) e la prudenza verbale che contraddistingue le conversazioni fra i soggetti fa ben intendere la volontà di nascondimento della vera fonte della liquidità (non certo lecita) - sottolinea il giudice - mentre, d'altro canto, il coinvolgimento di personaggi apicali delle cosche permette di affermare che il denaro prelevato in quel di Cutro fosse prodotto dalla viva, assai proficua e sostanzialmente ininterrotta attività del sodalizio locale». Dalla Calabria all'Emilia. Con un unico obiettivo: il guadagno. Tentando di far perdere le tracce del denaro.
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