«Ti uccido». «Hai finito di vivere». Una, due, dieci telefonate. Le voci di un uomo, di una donna, di un'altra ancora, e la paura che ti resta incollata addosso quando altrettanto d'improvviso torna il silenzio. E' accaduto venerdì, quando i video-choc dei maltrattamenti agli anziani di Villa Matilde hanno fatto il giro d'Italia, sette operatori sono finiti ai domiciliari e altri sei indagati a piede libero.
«Minacce di morte, si rende conto di che incubo sia? Questa è gente che non va per il sottile, e ho dovuto chiedere aiuto per tutelarmi». A parlare è quella che tutti ormai conoscono come «la tirocinante»: la donna che con la sua denuncia ai carabinieri di Neviano ha dato un'accelerata all'indagine che i militari stavano già portando avanti con il coordinamento della Pm Lucia Russo.
«Cosa mi ha fatto decidere di espormi? L'umanità. Quando vedi picchiare e insultare un essere umano che non può parlare e difendersi... Ho pensato che un domani sarebbe potuto capitare a mio padre o a me: nessuno è immune».
Com'è arrivata a Villa Matilde?
«Sono una economo-dietista, lavoravo in un hospice. Quando il mio contratto è scaduto ho frequentato a Parma il corso per operatore sociosanitario per un motivo anche personale: assistere al meglio mio padre, che ha una malattia rara. Il corso prevedeva un tirocinio, e ho chiesto io di andare a Neviano. Conoscevo qualcuno che ci lavorava, s'immagini lei che doppio tradimento è stato...».
Quanto tempo è durato il tirocinio?
«Doveva essere di un mese. Inizialmente ero al primo piano, poi sono stata mandata al secondo. Il primo giorno in cui ci ho messo piede sentivo urla, minacce, tutte quelle parolacce che ho poi riascoltato nei video dei carabinieri. E poco dopo ho assistito in cucina a quell'episodio sconvolgente...».
L'anziano costretto a mangiare a terra la pasta caduta?
«Sì. Credevano non ci fossi. Il paziente è stato preso per il collo, l'operatrice gli ha messo il muso nella pasta come neanche si fa a uno scarafaggio e lo ha costretto a mangiare dal pavimento mentre veniva picchiato. Picchiato, sì: nessuno l'ha ancora detto, ma è così. E quando mi ha visto sono partite le minacce: “Se denunci, io ti ammazzo”».
Lei a quel punto cosa ha fatto?
«Sono andata dal direttore (ora indagato per omessa denuncia, ndr.) per raccontargli l'accaduto. “E' la tua parola contro la sua”, mi è stato risposto. E nonostante il mese non fosse passato, ha firmato il foglio del tirocinio, congedandomi».
E' andata subito dai carabinieri?
«Quasi. Prima sono andata al primo piano, a raccontare le stesse cose a una responsabile, ma anche lì non mi hanno dato retta. Sono sicura che tanti sapessero ma si trinceravano dietro la paura di perdere il lavoro».
Ci sono stati altri maltrattamenti a cui ha assistito prima di andarsene?
«Sì. C'era caldo, e c'erano anziani che chiedevano di bere. Ma nessuno gliene dava: “Siamo in poche, questi fanno sempre la cacca e noi dobbiamo cambiarli”. Quel luogo era un lager, hanno fatto bene a definirlo così».
Si è ripetuto che il secondo piano, quello dei malati di Alzheimer, fosse un reparto a sè, con operatori dedicati, e che proprio per questo fosse difficile accorgersene.
«Chiunque sia mai stato in un ospedale o in una struttura di cura sa che nessun reparto può essere a se stante. La cucina dà un unico servizio, la lavanderia idem. Non stiamo parlando di un distaccamento. Se ci fosse stato un decesso nessuno avrebbe saputo nulla?».
Tornando a quel giorno, lei poi è andata dai carabinieri.
«Sì, nonostante le minacce. So che anche altre due tirocinanti hanno testimoniato ma io sono l'unica ad aver fatto denuncia. Non ne ho saputo più nulla fino a venerdì, quando ho ascoltato la notizia al telegiornale e ho visto quei video sconvolgenti. Ero allibita...».
Non se l'aspettava?
«Sinceramente credevo che fosse solo la crudeltà di una operatrice, e che gli altri coprissero lei. Invece ci sono 12 indagati. Sono tanti, dodici. E se penso che da una cosa piccola che ho fatto io è venuto fuori tutto questo... Mi chiedo come faccia un operatore a dormire la notte quando sa che cosa accade nel reparto vicino. Dov'è la linea di confine tra chi fa del male e chi vi assiste e tace?».
Era così difficile per i familiari accorgersi di ciò che accadeva?
«Sì, erano molto bravi a coprirsi l'un l'altro. Se non picchi davvero in un certo modo, gli ematomi non vengono. E per il resto come fanno anziani in quelle condizioni a comunicare i soprusi quotidiani a cui sono sottoposti? Alcuni familiari qualcosa sospettavano, ma non di così grave: venerdì mi hanno chiamato piangendo e ringraziandomi».
Continuerà a fare questo lavoro? Teme che essersi esposta le possa creare problemi?
«Per il momento resto lontana da Parma e mi occupo di mio padre. Ma quando cercherò un lavoro e sapranno che ho agito per i più deboli, chi assumeranno? In un Paese normale non dovrebbe esserci dubbio, ma si vedrà. Ora il mio unico pensiero è che per gli ospiti del secondo piano di Villa Matilde venga fatta giustizia. E più voci siamo, più possono venire alla luce queste situazioni terribili».
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