Paolo Grossi
Il Parma avrebbe quasi sicuramente vinto il suo campionato anche in caso di pareggio a Cesena. Ma il pathos e la bellezza del gol in rovesciata di Lauria al 90' formano una sintesi perfetta delle più pure emozioni di questo sport. Chi lo pratica, sogna prima o poi di viverle: nessuno dei presenti potrà dimenticare il gol di Crespo alla Juve in 9 contro 11, Tanto meno lui. Per quanto riguarda Lauria, l'adrenalina è stata così intensa che in campo, esultando, piangeva. Ieri il match winner è venuto a trovarci in Gazzetta e ci ha confessato che domenica il cuore gli si è strizzato anche quando ha aperto la porta di casa. «Mi figlio, che ha 5 anni, mi è saltato al collo facendomi festa, ma subito dopo si è messo in salotto a buttare per aria il suo piccolo pallone cercando di fare la rovesciata e urlando come se fosse un telecronista ''Lauria! Lauria!''. Mi sono commosso un'altra volta...».
Si riuscirebbe a insegnare a un ragazzino un gesto così?
«Credo proprio di no, quella è un'esplosione d'istinto e coordinazione. Per quanto mi riguarda mi sono trovato spalle alla porta, con quel pallone che scendeva, compagni messi bene a cui appoggiarlo non ne vedevo, e così ho scelto quella strada».
Anche tu avevi iniziato così piccolo a tirare calci al pallone?
«Sì, avevo proprio 5 anni e mio padre per far fare sport a me e a mio fratello di tre anni più grande ci portava in una grande palestra in cui si praticavano calcio, pallavolo e judo. Avevamo iniziato, a dir la verità, con la pallavolo, ma visto che appena possibile alla palla tiravamo calcio, gli istruttori ci hanno dirottato sul football».
Ed è iniziata così una vita da giramondo che ti ha portato in dodici piazze diverse in sedici anni.
«Ho lasciato casa che ne avevo 12, per andare a Modena. Ero al primo anno dei Giovanissimi. Là come dirigente c'era Paolo Borea che mi volle portare con sé a Terni, sempre nel settore giovanile. Poi un anno travagliato a Reggio, con un fallimento, tra l'altro c'era Pietro Leonardi, e l'esordio in serie B ad Arezzo, grazie a Gustinetti che credeva in me. E dire che non era una squadra da poco, l'Arezzo, quell'anno. C'erano Mirko Conte, Antonini, Raimondi, Abbruscato, Di Donato, Martinetti, Cutolo, Carrozzieri, Floro Flores. Quest'ultimo era diventato il mio migliore amico e credo che nel calcio abbia fatto meno di quel che avrebbe potuto. Alla fine arrivammo sesti, mancando i play-off per un gol. Poi via via ho girato mezza Italia, giocando sempre in Lega Pro o in squadre di D dalle dichiarate ambizioni, come Venezia, Cuneo, Matera e Rovigo».
Like a rolling stone, verrebbe da dire. Com'è la vita del nomade?
«Fino adesso mi sono sempre adattato anche se, napoletano verace, ho quasi sempre vissuto al Nord. Forse il posto più lontano dalla mia indole è stato Lumezzane, dove pure c'era brava gente. Ma anche a Cuneo, per esempio, ho trovato cordialità attorno a me. Ho due bimbi, la più piccola ha un anno e mezzo. Tra un po' magari con la scuola e gli amichetti mi verrà voglia di rendere più stabile la loro vita, ma per ora, anche per il fatto che mia moglie è sempre stata abituata a viaggiare molto, la cosa non ci ha pesato».
In estate sei arrivato, tra i primi, al nuovo Parma. Era immaginabile, quando in agosto si contavano 5 o 6 tesserati e un altro gruppo di gente in prova, vivere una stagione così?
«Premetto che venivo da Rovigo dove in una stagione per me magica aveva segnato 18 gol, ed eravamo arrivati secondi con 74 punti. A Parma, anche in agosto, ho sempre pensato che avrebbero fatto uno squadrone. E anzi, ho apprezzato il modo di muoversi della società che per non sbagliare ha preferito effettuare dei provini senza illudere nessuno. Lo squadrone in effetti s'è formato, ma quello che mi ha sorpreso è stato l'avvio lanciato nonostante il ritardo nell'assemblaggio. Temevo servisse più tempo e invece siamo andati forte subito».
Uno dei modi che voi ''over'' avete per conquistare la riconferma per l'anno prossimo è proprio quello di accettare la panchina e subentrare risultando decisivi, come avete fatto di recente tu e Melandri.
«Sono d'accordo. Penso che sia importante, per arrivare ad avere un gruppo forte, mostrarsi uomini. Il che significa accettare le scelte, non semplici, peraltro, dell'allenatore, e non perdere né la voglia di impegnarsi né l'entusiasmo per quello che si fa. Qui a Parma con la panchina si potrebbe mettere insieme una seconda squadra in grado di vincere il campionato. Insomma, la concorrenza è necessaria ad alti livelli. Questa è tutta gente che può giocare tranquillamente in Lega Pro e tanti l'hanno già fatto con ottimi risultati. Certo, serviranno ritocchi, ma c'è uno zoccolo affidabile. Solo che le valutazioni le fanno tecnici e dirigenti, non noi».
Serviranno meno giovani?
«E' probabile, ma non è detto: in questo periodo tanti club in terza serie si affidano invece a giovani, spesso in prestito, per questioni di bilancio e per avere contributi federali. Anche lì bisogna saper pescare bene».
Con una simbolica rovesciata torniamo al tuo gol. Quant'è difficile quel gesto?
«Come ho detto, è l'istinto che lo detta. Se il gesto riesce, non te lo dimentichi più. Comunque io gol in rovesciata l'avevo fatto anche martedì nella partitella a Collecchio...».
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