Monica Tiezzi
Per la prima volta un geologo italiano viene insignito dell'Eni Award, il «Nobel» per la ricerca su energia e ambiente: è il bedoniese Emiliano Mutti, classe 1933, per 40 anni professore di geologia all'Università di Parma.
Mutti è stato premiato ex aequo, per la sezione «Upstream» (che indaga le sorgenti di energia) con Christopher Ballentine dell’università di Oxford, che ha presentato una ricerca sui gas di sottosuperficie. Gli altri premiati nella nona edizione di Eni Award, istituito nel 2007, sono, per le nuove frontiere degli idrocarburi, sezione «Downstream», Johannes Lercher dell'Università tecnica di Monaco di Baviera per uno studio su alcheni e alcanoli e, per «Protezione dell’ambiente», David Milstein, del Weizmann Institute of Science (Israele), per una ricerca su reazioni catalitiche per mitigare l'inquinamento. Il riconoscimento «Debutto alla ricerca» è andato a Federico Bella del Politecnico di Torino per un dottorato sui pannelli solari e ad Alessandra Menafoglio del Politecnico di Milano, per un dottorato sulla geostatica.
La consegna dei premi, direttamente dalle mani del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, avverrà il 20 ottobre al Quirinale.
«La notizia non mi ha sorpreso, era nell'aria. Sono comunque felice e naturalmente andrò al Quirinale per la consegna del premio. È come vincere l'Oscar della ricerca» commenta Emiliano Mutti, premiato per il suo impegno di una vita («ci lavoro dal 1959», spiega) nello studio delle torbiditi e contouriti, due tipi di rocce arenacee che racchiudono in profondità grandi riserve di idrocarburi in tante parti del mondo.
Il titolo dello studio del professore parmigiano è «Sedimentazione di mare profondo: caratteristiche sedimentologiche e di serbatoio di torbiditi e contouriti». Un lavoro scientifico lungo e complesso che il professore prova a sintetizzare anche per i «non addetti ai lavori»: «Alcune rocce come le torbiditi, ossia sabbie deposte da correnti di densità in acque profonde, diventano nel tempo rocce porose e quindi potenziali serbatoi per gli idrocarburi. Nel corso degli anni ho sviluppato vari modelli di sedimentazione di queste arenarie da utilizzare per esplorazione e produzione di gas e petrolio ma anche, e soprattutto, per meglio capire l'evoluzione delle catene montuose, i cosiddetti cunei orogenici, di cui le torbiditi sono parte integrante», spiega Mutti. In pratica, Mutti fornisce strumenti all'industria per la ricerca di fonti di energia.
Per Mutti, la passione per le rocce arriva da lontano, da Nociveglia, la frazione di Bedonia dove è cresciuto in mezzo a boschi e rocce che, ha scoperto, erano proprio torbiditi. Con una tesi sulle torbiditi nel nostro Appennino si è laureato in geologia all'università di Milano, diventando assistente di sedimentologia. Libero docente all'università di Torino, dove è stato professore ordinario, e poi all'ateneo di Parma, dove ha lavorato fino al 2007. Ha scritto più di centro fra pubblicazioni scientifiche e libri e nel 2004 ha vinto la «medaglia Twenhofel» della Società di geologia sedimentaria, il massimo riconoscimento in questo campo. Il segno tangibile di una carriera internazionale è il suo lungo profilo in Wikipedia: solo in inglese.
Per «inseguire» le sue rocce, Mutti ha girato il mondo, alternando al lavoro accademico la collaborazione con industrie petrolifere: «Ho lavorato alla Esso, in Francia e poi negli Usa, nei Pirenei, in Grecia, Argentina, Indonesia. Oggi faccio ricerca con i brasiliani della Petrobras e mi occupo anche di conturiti, arenarie ancora avvolte nel mistero», spiega.
Insomma un cervello che non è certo andato in pensione, e una passione che non è scemata. Ancora oggi Mutti, che vive fra Bedonia e Nociveglia, continua a girare con in mano il suo inseparabile taccuino, dove traccia schizzi delle rocce, e la macchina fotografica con cui le immortala e poi cataloga. «Se non ami le rocce, se non apprezzi la loro bellezza, non puoi studiarle», sostiene.
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