“Elisir” ha quarant'anni. Il settimo album di Roberto Vecchioni è datato infatti 1976. Uscito cinque anni dopo “Parabola”, il disco d'esordio che contiene la celeberrima “Luci a San Siro” datato 1971 (in cinque anni sette dischi, segno della “produttività” - in tutto finora ha inciso 26 album in studio - che lo caratterizzerà nella sua lunga e fortunata carriera con risultati spesso elevatissimi e con qualche lavoro di minore suggestione), ha come tema conduttore il viaggio. Già la copertina in cui è raffigurato il gioco dell'oca, lo spiega chiaramente. E l'”Elisir” probabilmente serve a combattere l'”Ipertensione” (titolo dell'album precedente). Il viaggio sarà un argomento ricorrente nei lavori del settantatreenne cantautore milanese, sensibile al tema non solo perché insegnante di lettere nei licei, ma per la grande influenza che l'antichità ha avuto nei suoi lavori. Il mare e il viaggio vedono Vecchioni tentare di recitare la parte di un “novello Ulisse”, un uomo in cerca dei perché nel “mare magnum” dell'esistenza. L'incipit è una sorta di “manifesto” del disco: in “Un uomo navigato” il cantautore espone con disincanto i pro (pochi) e i contro (molti) dell'esperienza. E' poi il momento di “Velasquez”, uno dei pezzi più belli scritti da Vecchioni, che ha come protagonista il conquistador spagnolo che partecipò al secondo viaggio di Cristoforo Colombo nelle Indie Occidentali; per la genesi del brano ascoltare “Cortez the killer” di Neil Young che, si dice, l'avrebbe influenzato.
Se Velasquez è imponente ed epico, “Effetto notte” riporta tutti sulla terra con la storia di una relazione contrastata tra un uomo e una donna. “Le belle compagnie” è invece una sorta di filastrocca in cui si dice ci sia qualche riferimento polemico a De Andrè (“Su, dimmi specchio delle mie brame, chi è il più anarchico del reame?”). Anche questo brano è uno specchio: la politica infatti resta una sua grande passione e nei suoi lavori aleggia sempre. Ma è come poeta che Vecchioni dà sempre il meglio di sè. “Elisir” prosegue con A. R. (iniziali del poeta maledetto Arthur Rimbaud). E' una canzone “vecchioniana” dove c'è tutto: il viaggio, la letteratura, la disperazione (“... e Verlaine che gli sparava e gli gridava non lasciarmi, no non lasciarmi vita mia”), Londra, Marsiglia (e la lingua francese da lui amata e utilizzata), l'Africa. Ancora viaggio, insomma. Il lato B è dominato da una delle sue più canzoni più note e intimiste: “Figlia”. Inutile dilungarsi sui tanti sensi: è una poesia sul rapporto padre-figlia che spazia però al mondo, quello dei giovani e oltre. Ne “Il suonatore stanco” cita invece De Gregori e quindi Dylan, “Canzone per Francesco” è dedicata al collega Guccini. Nel brano Vecchioni si diverte infatti a passare in rassegna parecchi “topoi” del collega modenese: la locomotiva, Dio che muore, il passare per il camino, le osterie. A tale proposito su youtube esiste un filmato del '77 in cui Vecchioni, Guccini e Dalla - insomma il gotha della canzone d'autore di quegli anni e di quelli successivi - rivisitano “Porta Romana” di Giorgio Gaber al tavolo di un'osteria, tra il fumo delle sigarette e tante bottiglie vuote. Mancherebbero De Gregori e De Andrè, ma forse vedere anche loro due a quel tavolo sarebbe stato un tantino troppo. Per finire l'elenco dei brani di “Elisir” restano l'apparentemente scanzonata “Pani e pesci” e l'ermetica - qualcuno sostiene addirittura troppo - “Pagando, s'intende”.
In conclusione, “Elisir” è un “discone”, forse soprattutto grazie a “Velasquez”. Forse non è il capolavoro di Vecchioni ma precede e, in qualche modo, probabilmente prepara quello che a detta di molti suoi fans invece lo è. L'anno dopo infatti uscirà Samarcanda.
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