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Regio, tornano i fischi

22 Ottobre 2016, 11:01

Lucia Brighenti

Al vaglio del pubblico del Teatro Regio di Parma, «Il Trovatore» non è passato indenne. Con il quarto e ultimo titolo del Festival Verdi 2016 (comprendendo anche «I Masnadieri» a Busseto), il loggione è tornato a ruggire facendo sentire sonoramente il suo malcontento in un teatro pieno di spettatori. La prima andata in scena ieri sera è iniziata così, in un clima in cui è stato presto chiaro che aleggiava il malcontento, anche se non subito si è potuto conoscerne con certezza l’oggetto. Gli applausi accolgono infatti il soprano azero Dinara Alieva (Leonora) dopo «Tacea la notte placida», mentre le prime contestazioni si levano con il terzetto tra Manrico, Leonora e il Conte di Luna. Applausi e ovazioni vengono tributati anche al mezzosoprano albanese Enkeleida Shkoza (Azucena), dopo «Stride la vampa»; ma qualche mugugno torna a levarsi tra gli applausi, per una seppur lieve sbavatura, dopo l’aria «Il balen del suo sorriso» interpretata dal baritono rumeno George Petean (il Conte di Luna).

Le contestazioni arrivano però sonore e incontestabili allo scendere del sipario alla fine delle prime due parti dell’opera. Alla ripresa della recita, il tenore turco Murat Karahan (Manrico), dizione poco chiara ma acuto squillante, scatena qualche colorito scambio di opinioni tra il pubblico perché, dopo gli zittii agli applausi seguiti ad «Amor... sublime amore», si salva con l'attesissima cabaletta «Di quella pira l’orrendo foco». Dal loggione qualcuno fa notare: «ha fatto bene solo la cabaletta!», osservazione cui risponde uno spettatore dalla platea, indirizzando un colorito epiteto ai parmigiani. Gli animi si placano fino alla ribalta in cui il responso diventa indubbio: applaudito Martino Faggiani alla guida del suo Coro del Teatro Regio, nel complesso si salva il cast, in cui gli applausi più convinti vanno al mezzosoprano e al baritono, mentre qualche fischio si mescola a molti applausi per il soprano e il tenore. Applaudito anche il direttore Massimo Zanetti sul podio della Filarmonica Toscanini mentre le contestazioni travolgono il nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma firmato da Elisabetta Courir, poco tradizionale, minimalista e con nessuna concessione allo spettacolare, che lascia il pubblico insoddisfatto. Se è vero che Trovatore è un’opera notturna, qui il buio prevale completamente sulla luce, il nero sul colore. Le scene di Marco Rossi sono costituite da ossificate strutture in legno a gradoni, che vengono solo un poco spostate e diversamente assemblate per i cambi di scena, limitati al minimo, e che fungono, a seconda del momento, da atrio o giardini del palazzo dell’Aliaferia, da prigione e via dicendo. I costumi di Marta del Fabbro sono semplici e spogliati di ogni colore, quelli degli zingari tutti neri. Anche alcune scelte registiche sollevano qualche quesito: per esempio quando Leonora canta «Tu vedrai che amore in terra», Manrico (imprigionato nella torre) compare in scena e, alla fine della cabaletta, copre Leonora con una coperta; e ancora la presenza di danzatori (i cui movimenti coreografici sono a cura di Michele Merola) nelle scene finali in cui Azucena, Manrico e Leonora sono nella prigione del castello. Le luci sono a cura di Giuseppe Ruggiero. Completavano il cast Carlo Cigni (Ferrando), Carlotta Vichi (Ines), Cristiano Olivieri (Ruiz), Enrico Gaudino (un vecchio zingaro), Enrico Paolillo (un messo).

Mara Pedrabissi

Il sipario cala sulla prima parte tra un'energica combinazione di applausi e fischi e, pure, qualche buuh di cui si era già avuta avvisaglia al termine del terzetto «Qual voce!... Ah, dalle tenebre» (Leonora, Conte, Manrico). Così si conferma travagliata la storia del Trovatore a Parma, titolo troppo vicino all'anima dei melomani per scivolare via senza lasciar traccia. Campo minato, su cui si potrebbe scrivere un libro. Tra gli aneddoti passati alla storia, per notorietà del protagonista, quello che il 20 gennaio 1971 vide il grandissimo Renato Bruson abbandonare la scena per alcuni brusii dopo il «Balen del suo sorriso». Alla fine, a gran fatica, il baritono rientrò non prima di aver brandito la spada del Conte di Luna contro l'allora fotografo della «Gazzetta» Giovanni Ferraguti.

Per tornare alla serata di ieri, al “termometro” di metà spettacolo, il pubblico del foyer è parso generalmente contrariato dall'impianto registico di Elisabetta Courir che qui ha inteso puntare sull'oscurità dei meandri dell'animo umano, allestendo uno spettacolo appunto “scuro”, con l'inserimento di personaggi in assetto da guerra e donne velate. Analizza la musicologa Paola Cirani: «Regia e costumi sono poco gradevoli. Per quanto riguarda le quattro voci principali, il tenore Murat Karahan mi pare il più fragile anche se per un giudizio completo occorre attendere “La pira”. Il soprano Dinara Alieva è una Leonora corretta ma il timbro non è particolarmente suadente. Positiva la prova del baritono George Petean, nonostante il momento di difficoltà nel “Balen del suo sorriso”; forse gli manca la nobiltà del personaggio. La più convincente è l'Azucena di Enkeleida Shkoza; senz'altro bene il Coro».

Gabriella Corsaro, maestro del Coro «Ars Canto», le voci bianche del Regio, invita a «attendere prima di esprimersi pesantemente su uno spettacolo. Occorre una valutazione complessiva». Tra le voci promuove il mezzosoprano Enkeleida Shkoza.

«Il Trovatore» del Club dei 27 è Andrea Begani: «Promuovo le due voci scure, a parte l'errore del baritono nel “Balen”. La regia però è pessima. Va bene che il Trovatore è un'opera scura ma qui si esagera. Non c'è rispetto filologico, nella scena del duello mancavano le spade». Il presidente del sodalizio, Enzo Petrolini, aggiunge: «Una regia così non aiuta i cantanti. Mi pare invece che il direttore Massimo Zanetti abbia capito la situazione e cerchi di agevolare gli interpreti. Forse qualche “buuh” è stato eccessivo, però uno spettacolo così non è proponibile a Parma». Il “temperamento” parmigiano è proprio ciò che piace al cantante Azer Zada, 26 anni, studente all'accademia scaligera di Milano, amico di Dinara Alieva e come lei arrivato dall'Azerbaijan: «Credo che qui Verdi sia conosciuto fino all'ultima nota, per cui se non viene proposto in modo autentico e corretto, il pubblico non gradisce. E' il bello dell'Italia».

Il giornalista Tito Giliberto, inviato del Tg5, dà una lettura interessante: «Mi sembra che anche la scenografia sia costruita come un'arena per far gareggiare le ugole dei quattro interpreti principali, creando una scena competitiva. D'altra parte Verdi in quest'opera ha voluto mettere in competizione tenore, baritono, soprano e mezzosoprano. In questo senso la regia è rispettosa dello spirito dell'opera».

Promuove la regia Mattia Ambanelli, presidente del Teatro del Tempo: «Vengo dal mondo della prosa e giudico l'inizio dello spettacolo positivo, inedito per la lirica. Far agire i personaggi in scena prima che entri il direttore d'orchestra è una trovata essenziale e perfetta».

LASSU' IN LOGGIONE

Lorenzo Sartorio

E, dopo il successo della prima del «Don Carlo» con uno strepitoso Michele Pertusi, il Festival Verdi ha proposto un altro capolavoro del Maestro : «Il Trovatore», una delle opere più amate dai melomani di tutto il mondo. Figuriamoci da quelli parmigiani del loggione. Però ieri sera, la «piccionaia», gremita come sempre quando c’è molta attesa per una prima come questa, ha detto, anzi ha urlato un bel «no» con fischi e molti «buuuu» all’indirizzo, soprattutto, delle scene ma anche dei cantanti, salvando solo il mezzosoprano Enkelejda Shkosa (Azucena).

«Còssta l’è na färsa da dimenticär. La pär la bùjja äd Bogléz». Già alla fine del primo atto il clima era surriscaldato «dòp aver visst al primm at a jo pensè d’aver zbajè teator e d’èsor fnì al circo Orfei». Un voto da 1 a 10 a questa rappresentazione ? «Parchè - ha sbottato un loggionista - sòtta al zèro às pol miga andär?». «La regìssta c’la cambia mestèr - inveisce una decana del loggione - c’la vaga a spasär d’il scäli». Una signora la butta sul piano gastronomico: «l’è cme magnär d ‘j anolén fatt col pan e sensa formaj. C’al faga lu». Un gruppetto di signore, però, ha apprezzato sia i cantanti che la scenografia definendola «molto innovativa e teatrale».

Nel preambolo escono i mimi che pare cerchino qualcosa caduto a terra. Secca battuta di un loggionista: «mo co fani chilor? A pär chi sercon d’il cìcchi o di fónz». In effetti i mimi non sono piaciuti al popolo del loggione «sémpor ataca ai cantant j’ én fastidjóz cme il mòsschi cuand cambia la stagjón». Critiche diffuse anche nei confronti del cast, anche se a qualcuno invece non è dispiaciuto il soprano Dinara Alieva (Leonora). Il basso Carlo Cigni senza infamia e senza lode «cme ‘n bicér d’acua mineräla. Mo al lambrùssch l’é n’ätra coza». Male per il loggione anche l’orchestra ed il suo direttore Massimo Zanetti. Come pure il coro «cl’andäva par so cont cme ‘n treno in ritärdi». Comunque, come detto, mprese di bersaglio da tutta la piccionaia le scene «con tùtti ch’ilj asi äd lèggna, invéci che n’opra, la paräva la segheria äd Ganden ch’la fäva ilj asi p’r i carpentér e p’r il casi da mort». Un altro loggionista ha avanzato un’altra ipotesi «second mi j’ àn comprè a l’asta la gradinäda dal Tardini prìmma chi la fìsson äd cimént». Perplessità anche per lo schieramento dei gitani «j’ éron incuadrè cme un plotón äd carabinér. Magàra i zìnngor i fusson acsì. J’ én sémpor stè strajè cme un brancón äd riz». Un’altra spiritosa critica alla regia è provenuta da Gigèt Mistrali sempre molto arguto: «se pròprja la regìssta l’arìss volsù ésor fantazjóza, cuand Manrico al diz a Ruiz 'affrettati.. va ..torna... vola' l’arìss podù fär volär in séna un deltaplan. Con cla paräda da teator (scenografia) chi a gh’ podäva stär anca lù». E sempre l’indomabile Giget : «còssta l’é l’opra di fógh. As’ né mìga vìsst vón. A srà stè contént i pompér».

HA COLLABORATO ENRICO MALETTI

© Riproduzione riservata

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