Chiara Pozzati
«Dai un giudizio sulle ragazze più popolari di Parma del 2001 e di quelle più sfigate». E ancora: «Ma cosa ne pensi di T... che ha lasciato C... dopo due settimane e ci è stata a letto?». Oppure: «Sei una tr… e te la tiri un sacco. Piantala di fare la p… col mio ragazzo».
Questi commenti affiorano dalla Rete. Basta digitare Ask.fm Parma e ti ritrovi immerso nell’agorà senza regole, uno dei social che spopola tra gli adolescenti nostrani. Basta spulciare tra i dati dell’attività della polizia postale, durante lo scorso anno, per accorgersi che la rete è diventata terra (virtuale) di nessuno. E a farne le spese, sono anche i nostri ragazzi.
Sono stati 235 i casi di minori vittime di cyberbullismo trattati dagli agenti esperti nella comunicazione. Vittime di ingiurie, molestie, diffamazione e stalking on line. Le indagini hanno portato alla denuncia di 31 minori. In particolare, 8 i casi di stalking sfociati nella denuncia di un minore. Altri 42 i casi di diffamazione online con 11 adolescenti denunciati e 88 i casi di ingiurie, minacce e molestie online, con 6 denunce annesse. Si contano, inoltre, 70 casi di furto di identità digitale sui social con 3 denunciati e 27 di diffusione di materiale pedopornografico con 10 denunciati. Ovviamente nel panorama nazionale s’inseriscono anche gli episodi parmigiani, anche se non è possibile risalire ai dati precisi della nostra provincia, o della Regione, per una scelta precisa del Compartimento polizia postale e delle comunicazioni di Bologna da cui dipende anche la nostra città.
Ma il bilancio di un anno d’impegno costante in tutta Italia basta per aprire gli occhi. Anche sulla nostra realtà. E non occorre tornare troppo indietro nel tempo per ricordare un caso emblematico che ha scosso Parma nel profondo. «Secchione», «bimbominchia», «obeso», «dovresti morire in una maniera lentissima e molto dolorosa», «handicappato». Ecco la conversazione choc via Whatsapp fra due dodicenni della Fra Salimbene. Ed era stato proprio il preside Pier Paolo Eramo, a fine 2015, a squarciare il velo del silenzio, pubblicando sul sito della scuola le schermate degli insulti e facendo un accorato appello a tutta la città: «È ora di prendere in mano il cellulare dei nostri figli, di guardarci dentro».
Ma sono tanti i casi - più o meno sommersi - di ragazzini torturati via web. Dove l’umiliazione si moltiplica in modo esponenziale, ogni click diventa più incisivo, insopportabile. Benvenuti nel mondo dei «bimbiminkia», così si chiamano tra loro, gli adolescenti incollati perennemente allo smartphone. Capaci di lanciare o «seppellire» qualunque loro coetaneo in pochi minuti. Purtroppo è difficile fare paragoni col passato. Quando il vecchio bullo si poteva seminare, cambiando scuola, città, in attesa di crescere e dimenticare. Il web è ovunque. Il bullismo ha trovato in Internet e nei social network l’humus ideale per crescere e prolificare infestando la vita di molti under 18. Ecco perché diventa fondamentale tenere alta la guardia. E si moltiplicano gli sforzi delle divise. Un esempio concreto è la popolare campagna itinerante della Postale, incentrata sul cyberbullismo, «Una Vita da Social», approdata anche nella nostra città. E sempre nel 2016 sono stati organizzati numerosi incontri educativi in tutta Italia, raggiungendo circa 500mila studenti, con i rispettivi genitori e insegnanti, e oltre 1500 istituti scolastici.
IL CASO LUCARELLI
Con le scariche di rabbia che inondano il suo profilo Facebook fa i conti ogni giorno. «Ma quando a insultarmi, gratuitamente e con una cattiveria inaudita, sono ragazzini, non la faccio passare liscia».
Così, Selvaggia Lucarelli racconta della sua ennesima (brutta) cyber esperienza, che ci tocca da vicino. Dopo mesi di «martellamento virtuale», la giornalista ha capito che dietro ai messaggi velenosi c’era una ragazzina di 13 anni della nostra città. Non importa conoscere il nome della ragazzina. Ma quest’episodio - rimbalzato sul profilo social della Lucarelli - non può che richiamare la nostra attenzione.
Quali messaggi le inviava la ragazzina parmigiana che ha denunciato direttamente ai genitori? «Mi scriveva cose del tipo: "E’ proprio vero che invecchiando ci si rincoglionisce. Perché non stai zitta tr…?". Questa è solo l’ultima frase che ricordo, ma di volgarità ne ha scagliate parecchie – assicura la diretta interessata -. Il suo nome, e soprattutto i suoi modi, mi sono balzati all’occhio. Per mesi è intervenuta pesantemente sul mio profilo. Ecco perché dopo l’ultimo commento, sono andata a vedere la sua pagina. Ho scoperto che si trattava di una poco più che bambina, frequenta le medie. Quando sono così giovani, credo sia importante non farla passare liscia, perché possono ancora essere fermati in tempo».
Dunque, come ha agito? «Di solito, l’istituto scolastico frequentato si evince subito dai profili dei giovanissimi. In questo caso, era una scuola media di Parma città. Ho mandato una mail al preside, inoltrando gli insulti ricevuti, e chiedendo di parlare direttamente con i genitori della ragazzina. Solitamente le scuole sono molto tempestive e collaborative in questi casi. Tanto che il giorno dopo sono stata contattata direttamente dalla madre della studentessa». Certo dev’essere stata una doccia gelida. S’immagini quei genitori a cui arriva la convocazione urgente del preside, una mail zeppa di volgarità che porta il nickname della loro bambina e spunta il nome della Lucarelli. Insomma, venire a sapere che la propria figlia si diletta infamando il prossimo con frasi irripetibili non dev’essere stato semplice. «In effetti sì. Anche perché mi è sembrato che la madre cadesse dalle nuvole: mi ha chiesto scusa. Mi ha assicurato che non sapeva nulla e si è mostrata molto gentile. Mi ha detto che la figlia le avrebbe riferito: “ma lo fanno tutti, possibile che solo con me succeda un casino?”. E questo ci spinge inevitabilmente a una riflessione. Purtroppo, ha ragione lei. Sono centinaia gli utenti dediti alle «shitstorms», letteralmente «tempeste di letame», dove in centinaia prendono di mira la pagina social di un personaggio o di un’azienda. Fatti che io, in prima persona, ho sempre denunciato».
Comunità pericolose che istigano alla violenza e sfruttano la piazza infinita della rete. Ma poi che provvedimenti hanno preso i genitori della ragazzina? «Ho fatto presente che, vista la gravità del fatto e la giovane età, sarebbe stato meglio bloccarle il profilo. Come punizione esemplare. Per tutta risposta, la madre mi ha detto che lei e il padre avrebbero voluto, ma la figlia si era messa a piangere. Ed era così inconsolabile che alla fine hanno desistito. E’ chiaro che facendo così si continua a legittimare tutto sul web».
Ma sono tanti i ragazzini che scaricano il loro livore sul suo profilo? «Sì ma non si tratta solo di adolescenti, diciamo che quello è l’aspetto più preoccupante. Anche perché l’età più rappresentativa oscilla fra i 12 e i 13 anni».
Leggendo il profilo della Lucarelli, si evince che questa storia parmigiana ne rispecchia altre. Ma prima di contattare scuole e genitori non ha mai tentato un approccio con i diretti interessati? «In passato lo facevo, ma purtroppo si rivela totalmente inutile. Di solito i ragazzini ti rispondono con sfottò e arroganza. Credono che la mia minaccia di chiamare i genitori sia uno scherzo. Ti replicano più o meno così: “Tanto anche mia madre e mio padre la pensano come me”». La Lucarelli sta portando avanti una battaglia sul web contro le cosiddette «shitstorms». «Sì e non posso dire di sentirmi sola, perché di solidarietà ne ricevo molta. Solo che noto in tanti personaggi pubblici un disinteresse, una sottovalutazione del fenomeno. O peggio, la paura che denunciando si diventi improvvisamente impopolari. Credo che di fronte a un fenomeno del genere tutti dovrebbero denunciare, a maggior ragione i personaggi pubblici». Ch.Poz.
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