Una bella pagina di sport e di successo, di umanità e di orgoglio tricolore, di storie entusiasmanti e grandi personaggi. E’ l’Italia che vince, quella che è stata raccontata in una bellissima serata organizzata l’altra sera dal presidente del Panathlon club di Parma Roberto Ghiretti (la cronaca a pagina 13). L’occasione era la presentazione di una biografia di Enzo Ferrari scritta da Leo Turrini, penna sopraffina di sport (motori, pallavolo, ciclismo, sci) e non solo. Turrini ha dialogato con due mostri sacri dei motori, due ingegneri che hanno scritto un pezzo di storia, non piccolo, dell’automobilismo: il “nostro” Giampaolo Dallara e Mauro Forghieri, uno che in 27 anni alla Ferrari ha vinto 17 titoli mondiali, tra Formula 1 e Sport prototipi, piloti e costruttori.
Due ragazzini che hanno passato gli ottanta ma hanno la lucidità, la freschezza intellettuale e l’entusiasmo di due neolaureati.
Entrambi professionalmente “nati” e cresciuti a Maranello. Fortuna (e intraprendenza, ovvio) non da poco, formarsi nella “squadra” di Enzo Ferrari: un gigante, una leggenda, un’icona dello sport. Un vincente, appunto. E ancora oggi il Cavallino è uno dei pochi simboli capaci di risvegliare quell’orgoglio – di più, quel senso di patriottismo – che altrimenti viene puntualmente mortificato dalle tante, troppe brutture alle quali noi poveri italiani siamo condannati.
Si è parlato del Drake famoso e di quello meno noto, della genialità e del carattere non facile, di aneddoti (a partire dal suo debutto parmense come pilota: alla Parma-Poggio di Berceto) e della sua grande capacità di essere un trascinatore e di vedere sempre molto lontano.
Si è parlato dei successi della Ferrari e dei successi di ieri e di oggi della Dallara. «L’Enzo Ferrari degli Stati Uniti», ha detto Turrini di Dallara («Non confondiamo il prosciutto con la mortadella», si è affrettato a precisare il “nostro”, con la consueta modestia, ben nota a chi lo conosce). Uno che in America è un’istituzione, conosciuto e stimato da tutti, e soprattutto è sinonimo di successo.
E’ lui l’Italia che vince, quella di cui andare orgogliosi. E’ Forghieri, che disegnava a matita i bolidi rossi del Cavallino e discuteva con il Commendatore, rigorosamente in dialetto modenese, su come rendere le “rosse” sempre più veloci e competitive.
E’ Aldo Costa, altro fuoriclasse, altro ingegnere parmigiano, evocato più volte nel corso della serata. Anche con un pizzico di dispiacere: perché dopo essere stato cacciato dalla Ferrari è andato a guidare la Mercedes e a rastrellare gran premi su gran premi, titoli su titoli.
La Motorvalley che corre lungo la via Emilia è un’eccellenza – economica, sportiva – che il mondo ci invidia.
L’Italia che vince è anche rappresentata da una rossa meravigliosa, la 312b con la quale Clay Regazzoni vinse il Gp di Monza nel 1970. Paolo Barilla, con il fido Stefano Calzi, amico e meccanico di fiducia, è andato a scovarla nell’Oregon, da un miliardario che l’aveva acquistata e poi quasi dimenticata. Barilla l’ha comprata e portata in Italia. E Calzi l’ha rimessa a nuovo, facendola “volare” come un tempo. L’hanno ammirata tutti, l’altra sera. Sentendosi orgogliosi di essere italiani, senza dubbio.
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