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Due coltelli diversi per uccidere Kelly e Gabriela

13 Marzo 2017, 10:07

Laura Frugoni

Gabriela è sepolta nella terra, come hanno voluto le sue figlie. Luca Manici, Kelly per tutti, è stato cremato.

Funerali intimi e privatissimi, per le due vittime del delitto di Natale, trucidate con una violenza difficile anche da descrivere: così hanno voluto le loro famiglie. Che almeno quell'ultimo saluto fosse immerso nella quiete e nel silenzio.

L'anziana madre di Gabriela Altamirano, che aveva confidato alla «Gazzetta» quel peso del cuore («voglio dare una sepoltura cristiana a mia figlia») è rimasta bloccata a Rosario in Argentina: un familiare ha avuto seri problemi di salute, il suo pellegrinaggio di dolore dovrà aspettare ancora.

Gabriela riposa a Soragna, il paese dove ora le sue ragazze vivono insieme al padre: la terranno vicina, a Salsomaggiore non è tornato più nessuno.

Ma per le famiglie adesso rimane un'altra attesa, molto più lunga. «Voglio giustizia per mia figlia», ha sussurrato al telefono Marta Graciela Ortiz de Altamirano.

L'inchiesta per fare luce sull'efferato duplice omicidio va avanti. Non si è mai fermata, e nonostante gli inquirenti continuino a rispettare scrupolosamente la consegna del silenzio, l'impressione è che proprio adesso si sia arrivati ai nodi cruciali: perché se per il massacro nel casale di San Prospero dalla sera del 4 gennaio sono chiusi in carcere Samuele Turco e suo figlio Alessio, accusati di omicidio con le aggravanti della premeditazione e della crudeltà, proprio sulla premeditazione di quell'orrore si gioca ora la delicatissima partita tra accusa e difesa.

L'ultima «carta» finora era stata quella giocata da Turco senjor nell'interrogatorio fiume in carcere che lui stesso aveva chiesto, all'inizio di febbraio: in quelle 17 ore il 42enne catanese, assistito dal suo avvocato Laura Ferraboschi, aveva distillato la sua verità. In sostanza: ho ucciso io ma non ho premeditato nulla e soprattutto mio figlio Alessio non c'entra.

Una verità che le indagini degli investigatori della Squadra mobile sono determinati a smontare frase dopo frase, ma devono farlo a colpi di prove, riscontri. E siamo proprio arrivati a quel momento: all'analisi delle perizie, agli esami tecnici e a tutto quel che serve per puntellare il teorema accusatorio.

Quali sono, dunque, i punti cruciali che li portano in tutt'altra direzione rispetto all'ultima versione fornita da Turco?

Le armi su cui gli inquirenti stanno svolgendo gli accertamenti sono due. Due i coltelli: quello fatto trovare la sera stessa dell'arresto da Alessio, che accompagnò i poliziotti nel giardinetto condominiale al Montanara, a due passi da casa sua, dove l'aveva sotterrato. Una lama lunga e affilata: non sarebbe stata riconosciuta da chi frequentava abitualmente la casa.

Il secondo coltello, su cui è rimasta una macchiolina di sangue, è stato trovato dagli investigatori appoggiato sul lavandino del casale di San Prospero.

Il corpo di Manici è stato raggiunto da almeno diciotto fendenti: nella colluttazione si è difeso, ma le ferite riportate farebbero pensare a una forza che lo ha sopraffatto velocemente. Le ferite riconducibili a due armi. I due coltelli? Anche questo particolare non risulta così chiaro. Manici aveva anche un profondo ematoma alla testa. Potrebbe essere stato colpito con violenza da un oggetto contundente, ad esempio una pietra.

Altro mistero riguarda la fine atroce di Gabriela: sul suo corpo le ferite sarebbero causate da un'arma differente da quella usata per uccidere Manici.

L'assassino ha infierito in modo atroce sulle parti intime. Ma perché quell'ultimo terrificante sfregio? L'intento in quel caso era il depistaggio? Voleva farlo sembrare il gesto di uno psicopatico, simile ad altri efferati delitti di serial-killer di prostitute che la cronaca ha consegnato in questi anni?

Dimostrare la premeditazione resta il nodo: se Samuele si fosse preparato un piano per uccidere prima Kelly e poi Gabriela, doveva essere sicuro che Kelly gli avrebbe aperto la porta. Quella notte era vestito da donna: aspettava un cliente, s'era detto. Chi era (o aveva finto di essere) quel cliente? Infine il ruolo di Alessio, vent'anni, trascinato in questa storia orripilante: da quando è in carcere non ha chiesto di essere ascoltato. Il padre un fiume. Lui muto: chiuso a riccio di fronte all'enormità di una serata in cui s'è giocato pure la sua, di vita. Un enigma, anche questo ragazzo. Che già dalla sera della drammatica confessione in questura una cosa l'ha dimostrata: non possiede la freddezza del padre, che fino a quella sera non era mai crollato.

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