Margherita Portelli
Cyberbullismo, ma non solo. I rischi legati a un utilizzo fuori controllo della rete e delle nuove tecnologie da parte dei più giovani sono diversi: dal sexting al ritiro sociale, fino a una vera e propria dipendenza da giochi, social network e internet. A raccontarcelo sono Alessandra Melej e Pier Paolo Eramo, dirigenti scolastici in prima fila nel progetto biennale «Cittadinanza Digitale», che dal prossimo anno scolastico torna e si rinnova (a partire dal nome: «Socializziamo – Percorsi didattici sui social network»); è stato confermato, infatti, il sostegno di Fondazione Cariparma, al quale si aggiunge l’appoggio di Chiesi Farmaceutici.
15 le scuole coinvolte; circa 240 le classi; 5500 gli studenti che frequentano l’ultimo anno della scuola elementare e i tre anni della scuola media che prenderanno parte a laboratori, esperienze didattiche, approfondimenti. Finché si parla di numeri, però, il rischio è che i consigli e le avvertenze sulle problematiche legate a un mancato utilizzo consapevole della rete rimangano là dove spesso stanno: relegate in un indefinito spazio «altro», distante. Perché è questa la difficoltà più grossa che nei primi due anni di progetto è stata riscontrata: coinvolgere attivamente le famiglie. Far loro capire che situazioni complesse e pericolose potrebbero riguardare anche i loro figli, che si tratta di un problema di tutti e che l’inconscia tendenza a ripetersi «queste cose non succedono a quelli come noi» non fa che allontanare la consapevolezza necessaria ad affrontare le difficoltà. E questo perché si susseguono, in tutte le scuole, situazioni esito di un «impercettibile scivolamento» (come lo definisce Eramo) che si fatica ad inquadrare.
È successo, ad esempio, che un pedofilo prendesse di mira una ragazzina delle medie. «Non solo l’ha contattata, ma ha studiato il suo profilo Facebook e ha cominciato a prendere contatti con i suoi amici, in maniera subdola ha iniziato a chattare con i compagni, dicendo che quella ragazza era “sua” – racconta Eramo, dirigente dell’Istituto comprensivo Sanvitale-Fra Salimbene -. Cose sconvolgenti, ma guardando in maniera approfondita il profilo della ragazzina, mi sono reso conto che, visti dall’occhio di una persona malata, quei profili risultano “attraenti”. I ragazzi sono a tal punto indottrinati dal mondo che ci circonda, in cui l’immagine a l’apparire sono al primo posto, che finiscono per pubblicare scatti provocanti senza nemmeno rendersene conto».
I pedofili spesso adescano i ragazzi su WhatsApp. «Come fanno ad avere i numeri? Da quei giochi on-line su cui i ragazzi perdono ore – spiega -: succede che i loro numeri vengano inseriti in gruppi WhatsApp dedicati, i cui amministratori sono soggetti adulti, che magari stanno dall’altra parte del mondo».
Ecco, quindi, il ruolo determinante della famiglia. La necessità di un sistema di regole precise, e di controllo.
«C’è la tendenza alla negoziazione, ma è sbagliato» specifica la Melej, dirigente scolastica dell’istituto comprensivo di via Montebello. E si ritorna al concetto di «scivolamento». «Si comincia molto presto, nel concedere il tablet o lo smartphone ai bambini, quasi per silenziarli una mezz’ora. C’è bisogno invece di cura, di star dietro ai nostri figli, perché il sostituto di cura è molto pericoloso - accenna Eramo -. Altrimenti, poi, si rischia di cadere dalle nuvole quando si scopre che la figlia ha un account Instagram e pubblica foto con la spallina abbassata che si è scattata nel bagno della scuola elementare». Anche questo è successo a Parma. Fra i tanti casi che nel corso dell’ultimo anno scolastico si sono manifestati nelle nostre scuole, poi, anche quello di un giovanissimo in «ritiro sociale» (progressivo isolamento che porta l’adolescente ad estraniarsi da qualsiasi situazione di tipo sociale). «A un ragazzo che doveva sostenere l’esame di terza media abbiamo dovuto far fare sia scritti sia orale in completo isolamento, perché non ce l’avrebbe fatta a stare nella stessa stanza con altri ragazzi – racconta la Melej -. C’erano 30 gradi ma lui stava curvo su se stesso con la felpa e il cappuccio calzato». L’hikikomori, l’autoesclusione volontaria dal mondo reale, è spesso dovuta alla dipendenza dalla tecnologia. «Lo scorso anno è successo che un ragazzino di seconda media chiedesse di parlare con la psicologa della scuola – continua Eramo -. “Mi deve aiutare, sono a scuola, sto con gli amici, ma penso solo ai giochi” le ha detto». E poi il cyberbullismo, con insulti resi pubblici sui social network della serie: «Hai il fisico di una lavatrice», «Sembri un nano da giardino».
Sono solo alcune delle tante storie che fra una campanella e l’altra coinvolgono i nostri giovanissimi. Anche a Parma: in tutte le scuole.
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