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I settant'anni di Nevio Scala

I settant'anni di Nevio Scala

23 Novembre 2017, 03:55

Sandro Piovani

Strana data, per Nevio Scala, il 22 novembre. Indimenticabile perché in quel giorno, settanta anni fa, è nato. Ma anche perché un anno fa ha rassegnato le dimissioni da presidente del rinato Parma Calcio 1913, dopo l'esonero dei suoi collaboratori, dal tecnico Gigi Apolloni al dirigenti dell'area tecnica Lorenzo Minotti e Andrea Galassi. Era la fine del calcio «biologico», come l'aveva definito lo stesso Scala presentando il progetto Parma. E telefonargli un anno dopo fa un po' strano, soprattutto quando Scala fa capire come l'amarezza per quest'ultima esperienza sia ancora forte. E non lo nasconde, anzi. Quasi lo urla, non per il tono di voce. Ma per i temi. «Ho abbandonato proprio il 22 novembre dell'anno scorso. Una delusione forte, che faccio fatica a superare - spiega Scala senza tentennamenti -. Per questo non posso fare similitudini tra il Parma primo in classifica di oggi e quello che era primo nell''89 (era il suo Parma, il 30 dicembre '89 dopo un derby vinto ndr). Un anno fa ho dato le dimissioni e da un anno non mi interesso più delle vicende del Parma. Troppo forte la delusione».

Qual era l'idea di calcio Nevio Scala presidente?

«Più che idea era un sogno lavorare in quel modo, presidente di un Parma che prima dei risultati sportivi parlava di partecipazione, tolleranza... In una partita è caduto tutto e non so ancora perché. Nessuna spiegazione, è stata una decisione presa in silenzio, senza delucidazioni, senza giustificazioni».

E allora parliamo della sua prima avventura a Parma. Ma è vero che Ernesto Ceresini si accordò con lei con una semplice stretta di mano?

«Avevo già parlato un paio di volte al telefono con Pastorello ma incontrai Ernesto Ceresini a Vicenza. E dopo quel colloquio ci stringemmo la mano. Ero l'allenatore del Parma. Non avevo discusso di cifre, di programmi, di durata del contratto. Ero l'allenatore del Parma perché avevo capito che sarebbe stata una cosa seria. Era nato qualcosa e mi sembrava naturale accettare. Avevo incontrato una persona seria, sicuro di come si gestiva il mondo del calcio».

Una sorta di magia che ha portato successi ma anche emozioni uniche per il mondo del calcio.

«Sì, eravamo un tutt'uno con la città. Mi vien da dire all'interno della città. Pur nelle rispettive diversità, eravamo tutti genuini e sinceri. Semplici mi vien da dire. E non solo perché ci allenavamo in Cittadella, tra la gente che giocava a carte e le mamme con i bambini che giocavano. E' che già allora il calcio aveva bisogno di valori così. E oggi ancora di più. Bisogna fare un piccolo passo indietro, sfruttando però la tecnologia e la scienza di adesso. Se posso, direi tanta scienza e tanta tecnica ma con più sentimento».

E così arrivò la promozione in A, poi tutte le altre vittorie. Si è mai risvegliato il giorno dopo pensando “ma che cosa abbiamo combinato”?

«Sinceramente no. Perché io, i miei giocatori, la società e i nostri tifosi non abbiamo mai pensato ad una vittoria, ad un obbiettivo. Non abbiamo mai pensato a medio-lungo termine. Abbiamo lavorato, ci siamo allenati pensando soltanto al domani, al giorno dopo. Gli obbiettivi li abbiamo raggiunti perché non ci abbiamo mai pensato. Se anche avessimo perso, saremmo stati comunque sereni. E la gente ci sarebbe stata ugualmente grata. Così abbiamo raggiunto gli obbiettivi, con la serenità. Se penso che da presidente non riuscivo nemmeno a vedere tutta una partita.... Parlo della serie D, non so se mi spiego. Per dire quanto eravamo tutti coinvolti. Ad esempio dicono che io sono il papà del 3-5-2 ma non era importante. Quando ne parlavamo, era marginale. Importante era il nostro sogno. Forse la nostra utopia».

E nel giorno del suo settantesimo compleanno cosa vuole dire alla gente di Parma? Cosa vuole augurare ai tifosi crociati?

«Non vorrei rischiare di diventare patetico... Per prima cosa però io devo ringraziare la gente di Parma. Abbiamo vissuto insieme un grande sogno. E non solo calcistico. Loro hanno dato qualcosa a me e io ho dato qualcosa a loro. Oltre i risultati, oltre i trofei. Ai tifosi veri posso solo augurare di rivivere le emozioni della serie A, rivivere le emozioni di quei sette anni trascorsi insieme».

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