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L'ultima chiamata a Kelly: trovato il cellulare

L'ultima chiamata a Kelly: trovato il cellulare

08 Febbraio 2017, 09:54

Chiara Pozzati

Due minuti al massimo. La chiamata arriva sul cellulare di Luca Manici poco dopo la mezzanotte di Natale. Il numero sarebbe quello del cellulare rinvenuto a casa di Alessio Turco, il figlio del ristoratore catanese, accusato insieme al padre di omicidio plurimo pluriaggravato.

Ecco cosa trapela dell’inchiesta sulla mattanza di via Angelica. Il riserbo è massimo da parte degli inquirenti impegnati a far luce sugli ultimi squarci di vita dello storico travestito parmigiano e di Gabriela Altamirano. Certo è che la settimana scorsa, prima dell’interrogatorio fiume di Turco senior, gli agenti della Squadra mobile sono approdati in via Montanara, dove il 21enne abita con la madre e la sorella minore, del tutto estranee alle indagini.

Una perquisizione lontana dai riflettori e presumibilmente legata alla volontà di far luce sul ruolo del giovane. Sarebbe stato quello il telefonino utilizzato da padre e figlio per ordire la trappola nei confronti di Manici e convincerlo ad aprire il casale di via Angelica. Che forse mai avrebbe aperto se si fosse trovato di fronte Turco. E spiegherebbe anche perché Manici fosse vestito da donna, come sempre accadeva quando i clienti facevano rotta verso il club a luci rosse.

Nessuna conferma ufficiale: gli inquirenti sono categorici. Rimane il fatto che gli uomini di borgo della Posta hanno rivoltato come un calzino l’appartamento di via Montanara e il cellulare è stato rinvenuto accanto a un armadio. Oltre al telefonino è stato sequestrato altro materiale informatico, che va ad aggiungersi al computer «spuntato» durante la perquisizione nell’albergo-ristorante che svetta a Cassio Parmense.

Ancora non è chiaro a chi appartenga quel pc già nelle mani degli esperti. Non è escluso che possa essere parte del sistema di videosorveglianza che Manici aveva fatto installare al club prive. Proseguono inoltre gli esami degli investigatori in camice bianco: la polizia scientifica di Bologna è infatti al lavoro per passare sotto la lente le tracce di dna rinvenute sia in via Angelica, che a bordo della Volvo V40, l’auto presa in prestito da Turco e utilizzata per raggiungere il casale nella notte dell’orrore. Insomma è un’inchiesta tutt’altro che chiusa quella coordinata dal sostituto procuratore Emanuela Podda.

Ci sono tutti gli ingredienti per sbizzarrire la fantasia di giallisti e criminologi. Ma gli occhi degli investigatori non sono puntati solo sul ristoratore catanese, ex compagno di Gabriela Altamirano.

L’impressione è nitida. I poliziotti della Mobile appaiono decisi a chiarire fino in fondo il ruolo del 21enne in questa carneficina che lascia ancora zone d’ombra. Samuele Turco, assistito dall’avvocato Laura Ferraboschi, proprio nei giorni scorsi ha scelto di giocare la carta della collaborazione.

Per la prima volta da quando sono scattate le manette ai suoi polsi il ristoratore ha parlato con il magistrato. Un fiume in piena: per cinque ore, seguito dalla sua legale, ha dato la sua versione dei fatti. E – come confermato dalla Ferraboschi – ha di fatto scagionato il figlio, parlando di «ruolo solo marginale». Il 21enne è assistito dall’avvocato Elisa Furia ed è stato il primo a «crollare» con gli inquirenti.

A fornire la prova regina per ricostruire il delitto, conducendo gli inquirenti al coltello sepolto. Quello utilizzato per sferrare fendenti micidiali, all’impazzata.

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