Roberto Longoni
Da via Sidoli a via Gibertini ci sono migliaia di passi e per certi versi nemmeno un metro. Accese le candele, la fiaccolata percorre la medesima tragedia ripetuta. Cambiano nomi, volti e modi, ma la vittima rimane la stessa: una donna uccisa da un uomo. Si attraversa un quartiere dove ora regna non la calma, ma il silenzio che segue un grido di morte. Dalla casa nella quale Luigi Colla spezzò la vita di Elisa Pavarani a quella in cui Paolo Cocconi ha ammazzato Arianna Rivara, prima di suicidarsi. Da settembre a venerdì, in un atroce continuum. A organizzare il corteo, Monica Reggiani, coordinatrice del Lubiana, spalleggiata dal Comune. E seguita da tanti parmigiani. Il tempo dell'organizzazione è stato minimo, ma il tam-tam del cuore ha funzionato. Qualcuno stimava che avrebbe partecipato a stento un centinaio di persone: invece, almeno mille hanno acceso una candela e si sono messi in cammino per dire basta alla violenza degli uomini (o presunti tali) sulle donne.
C'è chi ha detto no al sole che indicava la via della classica gita domenicale, chi ha riveduto gli impegni che sempre più si concentrano nel dì di festa. Le spese, oltre alle visite a parenti lontani. Altri hanno semplicemente barattato il comodo tepore degli appartamenti con il freddo siberiano del dopo-tramonto. C'è gente di ogni età. Ci sono padri che spingono passeggini. Ci sono coppie che sfilano mano nella mano: facile immaginare che non tutte taglieranno unite il traguardo del «finché morte non vi separi». Alcune si diranno addio prima del tempo: accettarlo sarà la controprova che la partecipazione alla fiaccolata è stata sincera fino in fondo. Molti i volti di chi mai aveva sfilato in corteo. Molti, pur se in minoranza, gli uomini. Vittime anch'essi. «E' così che ci sentiamo, quando un appartenente al nostro genere macchia tutti noi con gesti imperdonabili» commentano. Tanti indossano le magliette bianche con la scritta «Stop al femminicidio». Femminicidio: nemmeno questo termine, orribile di suono oltre che di significato, la dice tutta. «Questa è un'atrocità contro l'umanità intera» taglia corto un altro rappresentante del Quartiere, mischiato tra la folla. Un crimine contro l'umanità e contro ciò che ha di più prezioso: l'amore. L'amore (anche quello declinato al passato) massacrato nel nome dell'amore da chi nemmeno sa che cosa esso sia.
Il corteo imbocca via Hiroshima. In testa, la sorella di Arianna. Non ha niente da dire ai cronisti che provano ad avvicinarla. Altro che risposte: lei per prima avrà una selva di domande in testa. Perché su perché affogati nel dolore. Accanto a lei, Federico Pizzarotti con la moglie Cinzia. A pochi passi, la fascia tricolore di Nicola Cesari di Sorbolo. «Queste tragedie - dice il sindaco di Parma - sono un sintomo dei problemi del nostro momento storico. E' venuta a mancare la rete di relazione attorno ai singoli. Si vive in una solitudine che spesso impedisce di chiedere aiuto. Anzi, è proprio chi ne avrebbe davvero bisogno a faticare di più a farlo».
E così a ogni sconfitta - specie in campo sentimentale - non si perde una battaglia nella vita, ma la guerra intera. «Compie atti come questi chi non vede un futuro e non ha accanto nessuno in grado di aprigli gli occhi» conclude Pizzarotti. Una fiaccolata può poco: e chi sfila è il primo a saperlo. «C'è tanto lavoro da fare - dice l'assessore alle Pari opportunità Nicoletta Paci -. E bisognerebbe trovare risorse ben più consistenti, per compiere un'azione di sensibilizzazione su tutta la popolazione, a ogni età. Bisogna puntare sulla formazione, sull'educazione e sull'istruzione. Se non si fa questo cambio di paradigma, continueremo ad assistere impotenti a tragedie di questo tipo».
Si sono allentate le maglie che tenevano insieme la società, e agli individui non sono stati dati gli strumenti per superare gli smacchi della solitudine. Così, su una necessità la fiaccolata una luce l'accende. «Ho sentito il dovere di organizzarla per tenere unito il quartiere - dice Monica Reggiani -. Occorre che le persone facciano rete, che pongano attenzione alle parole, alle azioni che manifestino anche a livello embrionale questa violenza. E' necessario abituarsi ad ascoltare, magari proprio chi desidera confidare la propria situazione ma non ha il coraggio. Questi sarebbero atteggiamenti differenti che creerebbero effetti e risultati diversi: così, magari non dovremmo più ritrovarci per queste fiaccolate».
E' dopo una quarantina di minuti che il corteo arriva in via Gibertini, di fronte alla palazzina di Cocconi. A decine, le candele spente vengono appoggiate alla base della recinzione del giardino. Accanto al cancello che Arianna varcò per l'ultima volta da viva vengono deposti mazzi di fiori variopinti e rose bianche. Tra la folla, un gruppo di dipendenti della Barilla. Alcuni hanno le lacrime agli occhi. «Abbiamo perso due amici in una sera - scuotono il capo i colleghi di Arianna Rivara e Cocconi -. E Paolo non era un violento». Chissà, forse oltre che gli altri ha sorpreso se stesso a quell'incontro fatale. Lassù, sul davanzale della finestra spalancata all'ultimo piano del condominio della tragedia, qualcuno ha acceso una candela. Continua a bruciare, quando la folla si disperde nella sera.
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