Chiara Pozzati
Andava in via «Senzatetto» ogni sabato e domenica mattina, per portare colazione e solidarietà. Una location che non esiste sullo stradario, ma era impressa dentro Giovanni Fadda.
Il «Gio» per chi ha condiviso la vita con lui. «E’ stato il fondatore della “Ronda dei cuori” un gruppo di volontari che avevamo chiamato a raccolta per i clochard di piazzale Dalla Chiesa. Con la sua grande umanità sapeva accogliere gli ultimi come fossero i primi. Aveva una capacità rara di immedesimarsi nel prossimo, tanto che godeva del rispetto e della stima di tutti. Non era solo un volontario, ma un porto sicuro per chi si era perso».
A parlare è Silvia, amica di tutta una vita e dirimpettaia del 45enne inghiottito dall’asfalto lunedì mentre rientrava a casa. Lei è una delle anime della Ronda dei cuori, ed è anche la custode di Filippo. Così si chiama l’affettuoso border collie, molto più che un amico a quattro zampe per Giovanni. Filippo che ora vive con lei. Un’amicizia costruita mattone dopo mattone, in quindici anni, quella fra il 45enne originario di Collecchio e Silvia, che assicura: «nemmeno il dolore può spezzare legami così forti».
Ecco perché la donna decide di sfogliare l’album dei ricordi. Partendo «dalla generosità e dall’intraprendenza di questo spirito libero». Lei era al suo fianco e dietro le quinte, quando Giovanni si esibiva. Fin dal primo concerto: «Eravamo a Correggio e lui suonava con gli Happy hour. La musica era senz’altro una sua passione: era grande sia al microfono che quando suonava».
E non è mancata all’ultimo appuntamento: «Proprio domenica sera, il giorno prima della tragedia, Giovanni ha salutato a suo modo il Liga. Era il compleanno del rocker di Correggio, e il “Gio” è salito sul palco del Teatro Asioli per festeggiare il suo compleanno». Da un palco all’altro il passo è stato breve: «Adorava anche il teatro dell’improvvisazione e aveva lavorato spesso al fianco di Franca Tragni. Girava per i tour tra Parma e Reggio». Sempre pronto a mettersi in discussione, ad accettare nuove sfide: «Ricordo quando partecipammo insieme alla prima maratona della sua vita.
Gli piaceva correre ed era uno sportivo autentico – assicura ancora Silvia -. Partecipammo a quella di Venezia, ma si ritirò al ventunesimo chilometro perché era stato assalito dai crampi». Non una sconfitta, semplicemente la capacità di accettare i propri limiti. «Era una persona molto disponibile e di un’umiltà rara». Un trascinatore e conoscitore dell’umanità più disparata. Più vera. «Contagiava col suo entusiasmo e la sua voglia di vivere. I clochard della Stazione sapevano che la domenica era dedicata a loro». Non solo un caffè caldo e merendine: «spesso faceva la spola avanti e indietro da casa. Se qualcuno gli diceva di essere rimasto senza abiti, lui prendeva, veniva in via Brunelleschi e frugava nell’armadio». Donava camicie, pantaloni, maglioni e sorrisi. Sempre senza pretendere un grazie, ma per il gusto di vedere lo stupore negli altri.
«La sua canzone preferita era Piccola stella senza cielo». Di quel Luciano nazionale che il giovane ha saputo (re)interpretare. E a cui somigliava molto. Sempre su e giù dai palchi per il rock padano.
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