Ilaria Notari
Maestro perché non viene a cantare a Parma? «Io verrei subito ma devono chiamarmi!». Era questa la risposta che Luciano Pavarotti era solito dare quando gli si chiedeva perché non venisse al Regio. In realtà era una risposta che nascondeva il tormentato rapporto con Parma fatto di fiammate di passione ma anche di rancori e reciproche prese di distanza. Il motivo sembra sia da ricercarsi in una convinzione dell’allora assessore alla cultura Negri che negli anni ’60 disse che quel ragazzo non avrebbe mai fatto carriera. Lucianone se la legò al dito e, se da una lato ripeteva che cantare qui era un’emozione da Scala o Metropolitan, di fatto non ci mise piede. Così oggi rimane il rammarico di non aver mai ascoltato quella voce estesa e luminosa, riconoscibile anche a occhi chiusi, in un’opera al Regio. E, quando il tenore giunse all’apice della carriera, fu poi impossibile per il Teatro, legato ancora all’annuale bilancio comunale, fare un contratto al tenore che aveva una pianificazione di impegni quasi decennale e un cachet inarrivabile. Lui stesso, poi, confessava di avere paura ad affrontare il loggione del Regio. Così a Parma venne in rare occasioni, la più importante nel 1980 per la Messa da Requiem diretta da Abbado in Duomo.
Eppure tutto ebbe però inizio a Salso. Pavarotti raccontava che una sera del 1959, sconfortato per quella carriera che non decollava, disse alla moglie che avrebbe tenuto ancora un concerto a Salsomaggiore e che se le cose non fossero cambiate avrebbe smesso di cantare. Fu così che, liberato dal peso della prestazione, cantò magnificamente quella sera al Grand Hotel delle Terme e arrivò a dire che Salso rappresentò la svolta per la sua carriera. Seguì un tribolato concerto nel 1976 in pazza a Busseto dove, per cause diverse, non ne andò bene una, a iniziare dal forfait della Ricciarelli. Seguirono un breve esibizione al Regio, una registrazione del film di Rigoletto al Farnese nel 1982 e un concerto al Palasport nel 1989. Gli appassionati che vollero ascoltare Big Luciano furono costretti a varie trasferte anche all’estero. Come si diceva il rapporto non fu privo di tensioni e Pavarotti, anche per scarsa presenza, non è stato a Parma il più amato dei tenori. Molti non gli perdonarono le incursioni nel repertorio verdiano “pesante” giudicato inadatto e le contaminazioni con la musica leggera che se da un lato avevano avvicinato un nuovo pubblico all’opera, dall’altro hanno legittimato a cantare l’opera chi non ha voce per poterla affrontare. Luciano accompagnò il padre Fernando a ritirare il Verdi d’oro nel 1987 alla Corale Verdi. Fu insignito nel 1995 della laurea honoris causa in veterinaria all’Università di Parma per la sua passione per i cavalli. «Ringrazio l’Università- scherzò Pavarotti- anche per aver trovato una toga adatta alla mia stazza!». Una cosa è certa c’erano i tenori e poi c’era Pavarotti, che i rappresentanti del mondo musicale parmense ricordano così.
ANNA MARIA MEO
Direttore Generale
Teatro Regio di Parma
Tutti ricordiamo con affetto il grande Luciano Pavarotti, considerato da molti «il» tenore, anche grazie alla sua capacità e alla sua audacia nel valicare i confini dei generi musicali. Passionale e generoso ha donato la sua arte dando vita ai grandi personaggi del melodramma e facendosi con fierezza ambasciatore nel mondo di questa arte tutta italiana. Era il 1980 quando la sua grandiosa carriera si intrecciò con la storia del Teatro Regio di Parma, nel 150 ° anniversario dalla sua inaugurazione, che lo vide protagonista di una memorabile esecuzione del Requiem di Verdi diretta da Claudio Abbado. Chi era presente ricorda quell’”Ingemisco”: una supplica scolpita nel silenzio, pervasa di quella tensione emotiva che il grande Luciano riusciva a trasmettere in ogni nota.
ANGELA SPOCCI
Ex direttore Teatro Regio di Parma
Pavarotti non voleva mettere piede al Teatro Regio, così proposi di fare un concerto al Palasport. Dato che amava moltissimo giocare a briscola, ci sfidammo a carte con in palio il concerto e un tartufo. Vinsi io la partita e così lui venne a cantare a Parma. Naturalmente il tutto avvenne con la complicità della moglie Adua che era dalla mia parte.
VITTORIO TESTA
Giornalista
Di Pavarotti ho un ricordo piacevole. Ero stato a casa sua a Pesaro assistendo alle divertenti briscole con gli amici di Modena. Era molto disponibile anche se inizialmente diffidente. Per i suoi 70 anni feci un pezzo per il Tg 5 e rimasi a cena da lui. Aveva accettato di fare tre puntate della mia trasmissione «Il Loggione» dedicate ai personaggi che amava di più: Nemorino de L’elisir d’amore, Rodolfo de La bohème e Riccardo di Un ballo in maschera. Il tutto andando anche nei luoghi cari della sua infanzia e giovinezza. Purtroppo il progetto non si fece per il sopraggiungere della malattia che se lo portò via. Al termine del Don Carlo alla Scala, in cui ci furono dissensi, mi disse «L’ho combinata grossa» ammettendo di non essere stato pronto abbastanza. Una volta mi ricattò scherzosamente «Non faccio l’intervista se non mi procuri un buon culatello!».
MAURO BALESTRAZZI
Giornalista
Credo che il modo migliore per onorare oggi Luciano Pavarotti sia dimenticare l'ingombrante personaggio mediatico che era diventato e concentrare il ricordo sul "tenore d'opera", soprattutto quello della prima parte della carriera, fino agli anni ‘80. Bohème, Elisir, Puritani, Figlia del reggimento sono stati forse i titoli in cui ha raggiunto gli esiti più alti. Meno convincente, a mio parere, nei grandi ruoli verdiani, a parte il Duca, perché per cantare Verdi occorrono accenti e capacità di entrare nei personaggi che a lui mancavano. Peccato che un'eccessiva disinvoltura, per usare un eufemismo, l'abbia portato nella fase finale della carriera a clamorosi insuccessi alla Scala e perfino al "suo" Metropolitan. Resta il rimpianto per una voce di bellezza e luminosità uniche, inconfondibile e riconoscibile all'istante anche da parte di chi non è andato mai a teatro. Un vero miracolo. Perché, come disse una volta Carlos Kleiber, quando Pavarotti canta, il sole splende.
ANDREA RINALDI
Presidente Corale Verdi
Luciano Pavarotti è stato quello che più mi ha trasmesso emozioni. Non so se la possiamo considerare la più bella voce del secolo perché abbiamo ascoltato Corelli e Di Stefano ma per me lo è stata. Era la voce più naturale, quella più riconoscibile, quella che usciva senza bisogno di grossi sforzi e senza alterare i connotati del viso. Ho avuto il piacere di conoscerlo alla Corale in occasione della consegna del Verdi d'oro al papà Fernando, anch'egli corista. Poi ho cantato in qualità di aggiunto nella Corale Rossini per l’inaugurazione del Palasport di Pesaro in un concerto con Pavarotti mattatore. Per arrivare agli anni più vicini in una edizione del Pavarotti &Friends ho avuto la soddisfazione di sentirlo duettare con il Coro di voci bianche della Corale Verdi allora dirette dal maestro Silvia Rossi.
ENZO PETROLINI
Presidente Club dei 27
Pavarotti è stato una delle più belle voci della seconda metà del secolo scorso. La sua grande intuizione è stato il ruolo mediatico che credo abbia giovato alla lirica. Attraverso i vari Pavarotti &Friends ha avvicinato tantissimi all’opera facendo sentire e capire il canto all’italiana. Aveva una tecnica solidissima, facilità nell’acuto e quando cantava si capiva tutto. E’ stato un grande ambasciatore della lirica.
VALERIO MARCHESI
Presidente Parma Lirica
Pavarotti era un eccellente belcantista e credo che se fosse rimasto nel suo repertorio sarebbe diventato più grande di Kraus. Aveva una facilità di canto come pochi hanno avuto. Indimenticabile la sua dizione perfetta, si capiva ogni parola. Peccato per quello scivolone nel Don Carlo alla Scala ma forse se non fosse stato Pavarotti non sarebbe successo tutto quel putiferio. Resta il fatto che se poteva affrontare Rigoletto, La traviata e Ballo in maschera, l’interpretazione di Don Carlo fu una scelta scellerata. Errori a parte, rimane un mito tenorile.
MAURIZIO BALDINI
Presidente Associazione Loggionisti
E’ stato uno dei più grandi tenori mai esistiti. Certo noi pensiamo sempre a Verdi e lui non è stato un cantante verdiano ma se pensiamo alle interpretazioni di Donizetti e Puccini era quasi insuperabile. Andai anche al suo concerto al Palasport e ricordo che cantò la prima aria con il microfono. Al termine uno spettatore gli gridò «Non sei un tenore se canti con il microfono!» e lui lo tolse immediatamente. Fu una serata bellissima e oggi di Pavarotti ce ne vorrebbero!
CORRADO MINGARDI
Già responsabile Biblioteca di Busseto
Erano la chiarezza e la bellezza della voce di Pavarotti ad incantare. Grande voce ma anche personalità. Nello spietato star system lui emerse conquistando anche persone che all’opera non avevano mai messo piede. Emozionava, aveva carisma era qualcosa di più di un cantante era un’icona.
ANTONIO DELNEVO
Presidente Gruppo Promozione Musicale Marchetti Fidenza
Pavarotti aveva una voce unica, era espressione genuina della nostra terra. Sono andato a sentirlo in trasferta ed è innegabile che abbia segnato la storia dell’opera sorretto da una grande popolarità.
GIUSEPPE AZZALI
Editore
Voce stupenda nelle sue opere, Elisir, Figlia del Reggimento, Bohème, Puritani, Lucia, anche Ballo in Maschera ma avrebbe dovuto tenersi alla larga da Aida, Ernani, Don Carlo, Forza, per non parlare di Otello! In certe opere c’erano dei precedenti insuperabili come Del Monaco, Bergonzi e Corelli. Sia chiaro, faceva tutto, ma alla sua maniera! Comunque di Pavarotti ho visto recite a valanga e tra lui e Bergonzi era una bella lotta verso mete altissime.
1985 il premio al Pro Parma
«E’ incredibile, Luciano Pavarotti al Pro Parma!». Ancora non riusciva a crederci Luciano Gonzi, allora presidente del circolo cittadino, pur avendo il grande tenore davanti a sé, di essere riuscito nel colpo grosso. Non era facile, soprattutto per i suoi molteplici impegni, che Pavarotti accettasse di prendere parte a piccoli concerti o premiazioni. Il colpo non era riuscito a molti e ne sapeva qualcosa il presidente di Parma Lirica Paolo Ampollini che, nonostante pressanti corteggiamenti, nei quali era insuperabile, non era mai riuscito a portare Big Luciano nella sede del suo circolo.
Invece Pavarotti accolse l’invito del Pro Parma e andò nell’inverno del 1985 per ricevere il premio «Violetta di Parma» istituito nel 1982 dal sodalizio cittadino e conferito nelle precedenti edizioni ai soprani Magda Olivero e Katia Ricciarelli. Il tenore fu accolto in una sala gremita. Tutti speravano che l’artista cantasse almeno una romanza, ma lui reduce da un concerto a Reggio non aprì bocca e in molti rimasero delusi. «Solitamente ringrazio cantando- disse – ma oggi proprio non posso». Quella sera era presente un giovanissimo Michele Pertusi fresco vincitore a Filadelfia di una della borse di studio «Luciano Pavarotti». «Questo ragazzo- sentenziò profeticamente Pavarotti- ha una voce meravigliosa e canta come i bassi di una volta. Sono certo che sfonderà». I.N.
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