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Pertusi: «Muti senatore a vita? Giusto e doveroso»

Pertusi: «Muti senatore a vita? Giusto e doveroso»

22 Ottobre 2017, 13:23

Lucia Brighenti

«Riccardo Muti è un brand, il suo nome si associa inevitabilmente a quello di Giuseppe Verdi». Si esprime così Michele Pertusi, punta di diamante di Jérusalem, opera inaugurale del Festival Verdi in cui ha interpretato Roger.

Il celebre basso parmigiano ha cantato molte opere sotto la direzione di Muti: tra le altre Le nozze di Figaro e Don Giovanni di Mozart, Nina, o sia la pazza per amore di Paisiello, la Messa da Requiem di Verdi. Inevitabile chiedere anche a lui un parere sulla nomina del Maestro senatore a vita, per cui la «Gazzetta di Parma» ha lanciato un appello cui hanno già risposto personalità come il prof. Giacomo Rizzolatti, l’assessore alla Cultura di Parma Michele Guerra, il baritono Luca Salsi, i rappresentanti del Club dei 27.

È favorevole alla nomina di Riccardo Muti senatore a vita?

«Muti è un grandissimo musicista, con una altrettanto grande preparazione. Una personalità che, come poche altre, ha portato la musica italiana, nella più alta accezione del termine, in tutto il mondo. Ha un repertorio vastissimo, che va dal Settecento al contemporaneo, ma l’opera italiana ne è al centro, Verdi in primis. Nominarlo senatore a vita sarebbe una scelta straordinaria dal punto di vista culturale, un atto giusto e civile, e un bel segnale, in un momento in cui la cultura ha perso la sua funzione».

Quali sono i ricordi più belli che conserva del lavoro con lui?

«Ricordo uno Stabat Mater di Rossini a Parigi, un Requiem di Verdi a Montpellier, molti concerti quando era direttore musicale alla Scala, nei quali si riscoprivano anche brani poco conosciuti, come una Messa di Süssmayr, allievo di Mozart. Sono state tutte esperienze musicali molto belle. Mi piacerebbe cantare un’opera di Verdi diretta da lui, prima di invecchiare, perché ho la sensazione che parliamo la stessa lingua musicale (spero che la sensazione sia reciproca)».

Lo conosce anche al di fuori dal lavoro?

«A volte ci incontriamo in giro per il mondo, mi piace assistere ai suoi concerti e scambiare due parole con lui: è una persona profonda e affabile ed è bello parlare di musica e non solo. È un barzellettaro, come me, quindi spesso ci cimentiamo in uno scambio di battute e ci rubiamo le barzellette a vicenda».

Cosa la colpisce della sua capacità di divulgatore?

«Quando parla a un pubblico di non addetti ai lavori, cerca sempre un linguaggio chiaro e fruibile anche per chi non ha basi musicali. È bello ascoltare le sue conferenze: molte si trovano anche su YouTube. Trovo bellissima, per esempio, la sua lezione su Rigoletto, fatta all’Università Bocconi di Milano, in cui svela come Verdi lavori musicalmente sulla drammaturgia e sulla psicologia dei personaggi».

Cosa potrebbe fare per il mondo della musica il Maestro, una volta eletto senatore a vita?

«Non so che poteri avrebbe, ma di sicuro Muti ha la competenza e le conoscenze per varare una riforma dei nostri teatri, per far sì che siano patrimonio di tutti. L’opera è al confine tra cultura e intrattenimento, lui può far capire perché deve essere cultura prima di tutto. In Italia, sono stati più i musicisti che i poeti a fare da collante linguistico».

ZANELLATO E POLI

Tra i motivi per cui Riccardo Muti è ritenuto un ottimo candidato alla carica di senatore a vita, ci sono l’impegno per i giovani e perché la musica diventi strumento di dialogo tra culture diverse. Lo testimoniano il basso Riccardo Zanellato e il tenore Antonio Poli, solisti della Messa da Requiem di Verdi inserita nel Festival Verdi (che, dopo la prima del 7 ottobre, sarà replicata giovedì 19 al Teatro Regio). Zanellato racconta del concerto che quest’estate Muti ha diretto a Teheran, inserito nel progetto “Le Vie dell’Amicizia”: un viaggio che ha portato oltre duecento musicisti italiani e iraniani a esibirsi nella capitale dell’Iran, con un programma interamente dedicato a Giuseppe Verdi. «È un progetto che mi ha dato occasione di scoprire quanto Muti sia un uomo straordinario, che desidera portare la musica anche in paesi in cui per tanto tempo è stata soffocata. – osserva il basso – Il concerto è stato un trionfo: alla fine la gente era impazzita, chiedeva autografi a tutti. Credo che Muti meriti di essere nominato senatore a vita, perché è la persona che più di tutti ha saputo portare la musica di Verdi nel mondo. Ogni volta che lavoro con lui ricevo una lezione su come ascoltare, leggere, interpretare Verdi e mi emoziona vedere la sua umiltà nel ricercare il volere del compositore».Antonio Poli ha esordito con Muti in Nabucco, all’Opera di Roma, quando aveva appena ventidue anni: «Alle prime prove con lui mi aspettavo che, con la sua esperienza, ci avrebbe detto “si fa così”. – racconta il tenore – In realtà mi sono reso conto che tiene sempre presente chi ha davanti, tirando fuori le potenzialità di ognuno in base alla vocalità. Per questo ogni opera che dirige è diversa e unica! È anche molto divertente e sa metterti a tuo agio. Ricordo che, durante una delle prime prove di Nabucco, mi chiese: “Lei ha paura di me?”. Io ammisi di essere intimorito e lui replicò: “L’ho scelta perché ha una bella voce, è bravo, ora tiri fuori gli attributi!”. Quando un artista è in difficoltà, dedica un pomeriggio a lui e lo fa lavorare finché ottiene ciò che vuole. Non è un despota, ha rigore ma è sempre al confine tra ironia e serietà. La nomina a senatore a vita non potrebbe essere più azzeccata!».Anche Andrea Rinaldi, presidente della Corale Verdi e membro del Coro del Teatro Regio non ha dubbi: «Sono d’accordo e, sinceramente, fatico a pensare a qualcuno che non lo sia. È un verdiano convinto e sanguigno! Lo si nota ascoltandolo dirigere e parlare. Io e diversi colleghi del Coro del Teatro Regio abbiamo avuto la fortuna di averlo “compagno di viaggio” in alcune produzioni liriche che hanno lasciato il segno. Non ultima la Messa da Requiem eseguita al Regio qualche anno fa. Abbiamo interpretato l’Inno Nazionale Italiano diretto da lui: il trasporto e la fierezza che ci ha trasmesso sono rimasti sigilli integri. Facciamolo senatore... come Giuseppe Verdi e ne vedremo delle belle! O meglio, le ascolteremo». L.B.

TESTIMONIANZE DA BUSSETO

Michele Deroma

Il premio Verdi d’Oro nel 1992. Il conferimento della cittadinanza onoraria di Busseto nel 1997. La magistrale esecuzione del Falstaff in un gremito teatro Verdi – alla presenza anche dell’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi – nel 2001. Quello tra Riccardo Muti e Busseto è uno storico legame di affezione quasi inevitabile, vista l’unicità del 76enne direttore d’orchestra nel presentare nei teatri dell’intero globo la musica del Maestro che ha altrettanto splendidamente esaltato in tutto il mondo il nome di Busseto. Ed era allo stesso modo inevitabile, per un certo senso di riconoscenza, che la cittadina della Bassa si unisse al coro di voci, e della Gazzetta in primis, a richiedere la nomina di Riccardo Muti senatore a vita.

Tre illustri bussetani, come il vicesindaco Gianarturo Leoni, il direttore d’orchestra Fabrizio Cassi e lo storico Corrado Mingardi, hanno fermamente appoggiato l’appello della Gazzetta. «Quella di Riccardo Muti senatore a vita è una candidatura da appoggiare in maniera convinta», secondo il vicesindaco Leoni: «il grande direttore ha valorizzato ed esaltato in tutto il mondo il nome di Giuseppe Verdi, e quindi della nostra Busseto. Chi meglio di lui può sedere a Palazzo Madama? Tra tutti i senatori – anche nullafacenti, purtroppo – presenti in Parlamento, Riccardo Muti è dotato di grande intelletto, capacità e amore per la patria».

«Anche dall’aula del Senato», secondo Fabrizio Cassi, «Riccardo Muti sarebbe testimone di un significativo messaggio che tutti gli italiani dovrebbero sempre accogliere: per intraprendere una carriera di successo servono sacrifici e studio. C’è bisogno di cultura in questo Paese e Muti ne sarebbe un validissimo ambasciatore». Se lo ricorda ancora, Fabrizio Cassi, quel 10 aprile 2001: in una Busseto che ricordava il centenario della morte del suo Maestro, Riccardo Muti si presentò al teatro Verdi con l’orchestra della Scala. Come Arturo Toscanini nel 1913 e nel 1926. Le parole di Cassi sono ancora colme di ammirazione per Muti: «Impiegò esattamente dieci secondi per indovinare alla perfezione come comportarsi dal punto di vista acustico, per adeguare la sua grande orchestra agli esigui spazi del teatro bussetano».

Il resto lo dissero i più che meritati minuti di applausi da parte del pubblico presente in teatro. Centinaia di persone hanno potuto ammirare Riccardo Muti dirigere il Falstaff verdiano, ma c’è qualcuno che lo ha visto anche commuoversi dinanzi agli oggetti del Cigno di Busseto. È Corrado Mingardi, che non può certo dimenticare «quando accompagnai Muti e suo padre alla villa di Sant’Agata, in una delle sue numerose visite nella terra di Verdi. Se il presidente della Repubblica nominerà Muti senatore a vita», per Mingardi «farà una doppia azione meritoria: confermare al più alto livello nazionale il valore di un grandissimo musicista italiano, tanto ammirato in ogni parte del mondo, e nello stesso tempo accrescere il prestigio del Senato, e come per la Camera dei Deputati, credo che di questi tempi ce ne sia veramente un gran bisogno».

L’amore per Giuseppe Verdi e per il più grande interprete del suo geniale estro: caro Riccardo, anche la «tua» Busseto vuole vederti a Palazzo Madama.

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