L'assassino torna sempre sul luogo del delitto: si dice così, parlando per metafora.
A volte succede davvero. Per un piacere sadico, un'ossessione truce? Un guanto di sfida lanciato a chi gli dà la caccia? Oppure più banalmente ci ritorna per l'angoscia di aver «dimenticato» qualcosa e allora è meglio andare a controllare?
La risposta ai criminologi e ai patiti dei gialli.
Ma è un fatto che Samuele Turco - l'uomo che dalla sera del 5 gennaio è in carcere insieme al figlio ventenne Alessio, entrambi accusati di omicidio «premeditato e aggravato dalla crudeltà» - sul luogo del massacro di Natale ci sia tornato, una volta almeno.
E' successo quel rocambolesco giovedì, era il 29 dicembre: tre giorni dopo il massacro nel casale di San Prospero, la sera successiva erano stati scoperti i corpi orrendamente trucidati di Luca Manici, il travestito Kelly, e dell'argentina Gabriela Altamirano. Era stato Samuele a chiamare i poliziotti, ormai lo sappiamo che quella era stata tutta una sceneggiata per confezionarsi un alibi: si era già calato in pieno nella parte dell'innamorato in ansia per il silenzio della sua donna.
Cos'è successo il 29 dicembre, una data che poi si sarebbe rivelata cruciale per le indagini? Sicuramente gli investigatori della Squadra mobile stavano già addosso all'ex fidanzato di Gabriela. La scena del crimine era stata passata ai raggi x dalla scientifica; ore interminabile rintracciare e ascoltare i testimoni, a scavare nei moventi possibili.
«Lo so di essere l'indiziato numero uno» aveva detto Turco quello stesso pomeriggio nell'intervista alla Gazzetta. Almeno quella, una verità incontrovertibile. Gli uomini guidati da Cosimo Romano dovevano avere già in mano elementi preziosi che riconducevano al 42enne catanese. Lo tenevano d'occhio e probabilmente non è neppure un caso il fatto che poco dopo il suo lungo sfogo «mediatico», Turco avesse ricevuto una chiamata dagli inquirenti. Probabilmente temevano che giocasse anche quella carta: diventare, appunto, un personaggio mediatico. Per intorpidire ancora più le acque.
Turco doveva sentire sempre più il fiato sul collo dei poliziotti. Quella sera, dunque, era sceso da Cassio per approdare a Parma ma durante il tragitto - incredibilmente s'era diretto al casale di San Prospero. Difficile che abbia provato a entrare: la casa è sprangata, con i sigilli. Voleva sincerarsi di non aver lasciato tracce fuori dal casale?
C'è poi la faccenda del maldestro tentativo di suicidio: la bottiglia di candeggina ce l'aveva in auto, se l'era portata da casa?
Quando s'è sentito male era sicuramente già in città, forse addirittura San Prospero: in ospedale l'avevano accompagnato i poliziotti dove aveva cominciato a «dare di matto», un crollo nervoso che aveva fatto alzare più di un sopracciglio.
Trasferito al Diagnosi e cura, lì è rimasto fino alla sera dell'arresto. «Sorvegliato speciale» anche quando stava in ospedale: temevano che cercasse di scappare. E proprio tra gli ultimi particolari trapelati dell'inchiesta, è saltato fuori che Samuele s'era procurato una carta d'identità valida per l'espatrio. Peccato che fosse di un uomo che l'aveva smarrita tre anni fa, e Turco ci aveva appiccicato la sua fotografia. Forse il suo piano sanguinario si doveva concludere proprio con la fuga.
Su questo orribile duplice delitto - terminati i giorni silenziosi delle indagini - sono emersi molti dettagli, a volte terribili. Sconvolgenti. La ferocia di quelle pugnalate. L'agguato mortale a Kelly e l'sms-trappola per attirare Gabriela nel casale.
Zone d'ombra ancora restano, a cominciare dal ruolo che ha avuto il figlio Alessio nella terrificante sequenza. Finora è stato lui a crollare e a far trovare agli inquirenti l'arma del delitto, i cellulari trafugati dal casale. Alessio ha parlato: chissà se lo farà ancora e soprattutto se padre e figlio finiranno divisi anche dalla verità.r.c.
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