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Bolsi, il signore dell'anagrafe

Bolsi, il signore dell'anagrafe

06 Giugno 2017, 13:28

Roberto Longoni

Lo annunciava un fischiettio allegro. Gli apriva la strada quasi ancora prima del rumore dello scooter, sempre al minimo dei giri, per una velocità da crociera impostata su ritmi ancora umani. I ritmi di prima dell'avvento di facebook e dei sistemi informatici, di quando le identità dei parmigiani abitavano ancora in schede messe insieme fitte fitte dalla A alla Z. A quel mondo ancora apparteneva Massimo Bolsi, il signore dell'Anagrafe, quella che si trovava in borgo Rodolfo Tanzi e sapeva di polvere e umanità. Anche il modo tutto suo di stare in sella sembrava testimoniare la fedeltà a una Parma che non c'è più: un piede sulla pedana e uno giù a sfiorare l'asfalto, quasi a voler dire: «Sono pronto a scendere, a fermarmi, a salutare gli amici». Accadeva spesso, perché gli amici erano tanti, e non solo al Pablo. E allora le labbra smettevano di zufolare quella colonna sonora tutta sua, per allargarsi in un sorriso che era marchio di fabbrica. Quanto di più naturale ci fosse per lui. Così è stato, fino alla fine. Quel sorriso si è spento per sempre: ora i fischiettanti concerti rimangono nella memoria di chi ha conosciuto il suo autore. Bolsi se n'è andato per sempre a 73 anni.

Stamattina alle 8,30 dall'ospedale Maggiore partirà il suo ultimo viaggio alla volta della chiesa di Santa Maria della Pace e poi del cimitero della Villetta. E' un pezzo della città ad andarsene. Non solo perché Bolsi, figlio del quartiere Pablo, aveva i modi e anche le phisique du role del parmigiano del sasso, con le rotondità d'ordinanza per chi ama buona tavola e buona compagnia, ma perché per anni è stato un tutt'uno con Parma, custode delle identità di tutti i suoi abitanti.

Dopo il diploma da ragioniere al Melloni, si era laureato in Economia e commercio. L'ingresso in Comune era venuto dopo molteplici esperienze all'estero, da studente. Parigi, Londra, Berlino: fu tra coloro i quali negli anni sessanta aprirono la strada all'Erasmus.

La passione per i viaggi gli era rimasta: anche solo per il gusto di dire di sì a un amico che gli proponeva una nuova partenza. Un cittadino del mondo, un abitante dell'umanità: che si trattasse di partire per la Cina o di sfidare a carte la gente di Valbona di Berceto, a lungo sua località di villeggiatura.

Fu vice di un'altra figura storica degli uffici parmigiani: Rocco Di Liberto. Quando il «maestro» andò in pensione, lui prese il suo posto da dirigente dei Servizi demografici del Comune. Uno che non perdeva un colpo (né un voto) nelle maratone elettorali, in grado di valorizzare al massimo il capitale umano degli sportelli. Accade solo quando si sa dare l'esempio: e lui non si tirava mai indietro, pronto ad ascoltare, ad aprire l'ufficio a ogni ora, per quei documenti che non possono aspettare. Burocrate dal cuore grande e sempre acceso.

Dotato di buon senso e di capacità di dialogare con tutti, era appassionato di questioni civiche. Che si trattasse di vera passione lo dimostrò anche dopo essere andato in pensione (dopo una parentesi conclusiva all'Economato del Comune): era rimasto parte attiva dell'Associazione nazionale ufficiali di stato civile. Uno dei suoi rammarichi, nei pochi mesi della malattia, era di non riuscire più a svolgere il proprio ruolo di revisore dei conti.

L'altro, ancora più grande, era di non poter seguire più come voleva i nipoti Zeno e Viola, dieci e otto anni, figli dell'adorata Monica. Quasi se lo sentisse di non poter stare a lungo al loro fianco, li ha cresciuti da nonno a tempo pieno. Con il regalo di un sorriso e del fischiettio della bella Parma andata sempre sulle labbra.

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