GEORGIA AZZALI
Dietro le quinte, perché sul proscenio dovevano comparire altri. Un imperativo per Antonio Moisè, specialista nel trovare prestanome da piazzare nelle aziende che poi avrebbe prosciugato, fino a portarle al fallimento. Ne aveva collezionato un certo numero, secondo gli inquirenti, e nell'estate del 2016 era anche finito in cella (dove è rimasto per un certo periodo) per aver spolpato la società edile Edilcabo. Una bancarotta fraudolenta e aggravata che ieri gli è costata una condanna a 4 anni e 6 mesi, nonostante l'assoluzione per uno dei reati contestati. Per 10 anni, inoltre, così come disposto dal collegio presieduto da Gennaro Mastroberardino, Moisè non potrà esercitare attività d'impresa.
Ma in realtà l'imprenditore, già condannato per reati di bancarotta, da tempo sa che il suo nome non è ufficialmente spendibile. Origini calabresi, ma da anni residente nel Parmense, anche nel caso dell'Edilcabo, Moisè era l'amministratore di fatto, secondo gli inquirenti, pur non avendo alcuna carica. L'inchiesta, portata avanti dalla Finanza e coordinata dal pm Umberto Ausiello, aveva percorso i labirinti economico-finanziari della società. E dalle teste di legno gli investigatori erano risaliti fino al vero capo. Entrato in Edilcabo nel 2012, in meno di due anni Moisè avrebbe portato l'azienda al fallimento. E quando è stato dichiarato il crac, il curatore non ha trovato traccia di libri e scritture contabili. Da qui, l'accusa per Moisè e per l'amministratore dell'impresa dal marzo 2014 di aver sottratto o distrutto le scritture contabili. Oltre a Moisè, erano state indagate sei persone, tra cui la convivente dell'imprenditore, che nel frattempo, avendo scelto il giudizio abbreviato, è già stata condannata. Sotto sequestro erano anche finiti quattro appartamenti e diversi lotti edificabili, oltre a due garage e a due posti d'auto scoperti, per un valore totale di circa 3 milioni.
Ed è proprio sui terreni e sugli appartamenti che Moisè e i complici avrebbero tentato il colpo grosso. Nell'aprile 2014, infatti, diversi lotti situati a San Prospero, nella località «Il Moro», di proprietà della Edilcabo vengono ceduti alla Esse Emme srl: 1 milione e 600mila euro, considerando l'Iva. Una vendita, però, che sarebbe stata fittizia, secondo l'accusa, dal momento che non risulta alcun documento che prova la compravendita, e i mutui sugli immobili non sono mai stati notificati alla banca.
Ma anche per altri 5 alloggi in via del Convoglio, la «procedura» sarebbe stata la stessa: i primi quattro sarebbero stati fittiziamente ceduti da Moisè e da un altro degli amministratori-prestanome della Edilcabo alla compagna dell'imprenditore; l'altro alloggio, invece, sarebbe stato venduto a una 44enne perugina residente a Parma. Immobili valutati complessivamente oltre 1 milione, messi in vendita però al 25% in meno rispetto al prezzo di mercato. E se per le prime quattro case non risultano riscontri sui pagamenti, per l'ultimo appartamento, la cifra potrebbe essere stata versata, ma il prezzo sarebbe rimasto comunque ben al di sotto di quello reale.
Tutte accuse che un anno e mezzo fa avevano fatto finire Moisè dietro alle sbarre. E che ieri hanno convinto i giudici ad avere il pugno duro. In attesa del processo d'appello.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata