Francesco Bandini
Una ragazzina straniera un po' insicura e che parla ancora poco l'italiano, una maldicenza che comincia a girare sul suo conto nella classe che frequenta. E subito su di lei si scatena un vortice di cattiverie, che prima si manifesta in un'aula scolastica, ma subito dopo si sposta sui social, con l'effetto di amplificare lo scherno e di incitare quell'accanimento spietato che solo l'irresponsabilità adolescenziale riesce talvolta a generare.
Il bullismo non è solo violenza fisica, ma è anche questo: tortura psicologica, precisa volontà di infierire, compiacimento nel constatare gli effetti devastanti delle proprie azioni sulla psiche della propria vittima. Effetti che sono ancora più insidiosi e pericolosi quando dal bullismo si passa, come in questo caso, al cyberbullismo. E la vittima predestinata stavolta è una quindicenne iscritta a un istituto superiore della città. Un giorno in classe qualcuno lancia il sospetto che abbia i pidocchi: se sia vero o meno è tutto da dimostrare, ma subito la macchina dello sberleffo e dell'umiliazione si mette inesorabilmente in moto. I compagni le stanno lontani, la isolano fisicamente dal resto della classe, la fanno sentire sporca e diversa. Fra i banchi girano bigliettini in cui si raccomanda di starle alla larga e si deride quella ragazzina che si presume «diversa». Lei avverte questo clima di isolamento e derisione che si crea intorno a lei e ne soffre. Già parla poco l'italiano e necessita di un insegnante di sostegno, ma quella cattiveria gratuita le rende tutto ancora più difficile.
Il peggio però deve ancora arrivare. La sera, nel gruppo Whatsapp della classe, la cattiveria rasenta l'odio e gli istinti più bassi si scatenano. Del gruppo fanno parte tutti gli studenti e quindi ciò che scrive uno viene letto da tutti gli altri, compresa la vittima. «Giuro, è un cancro quella lì», scrive qualcuno. «Non ho intenzione di raparmi a zero per gente che non usa il sapone», scrive qualcun altro, a cui fa subito eco un compagno: «Ma secondo me neanche il sapone ha...». «È schifosa», sentenzia un altro. «Chiamiamo i militari che la buttano fuori», è la crudele proposta di qualcuno. E non mancano gli insulti a sfondo razziale: «Africa di merda», si legge in un messaggio, scritto da qualcuno che evidentemente con «Africa» intende gli stranieri o le persone di colore in generale, visto che la quindicenne è sì extracomunitaria ma non africana. E poi la frase forse più spietata di tutti: «Se legge i messaggi meglio, almeno domani non viene». La chiara dimostrazione che chi scrive ha la consapevolezza che anche la ragazzina straniera stia leggendo quel profluvio di oscenità: c'è la volontà che sappia cosa si dice di lei, il preciso intento di umiliare ed emarginare. E poi c'è chi posta video ironici in cui finge di scacciare i pidocchi, suscitando l'ilarità e l'apprezzamento generale.
Una compagna di classe, però, si oppone a questo gioco al massacro psicologico in cui quasi tutti sembrano lasciarsi trascinare. Quando i suoi compagni si presentano in classe con capelli legati e spray anti-pidocchi, lei invece ostenta i propri capelli sciolti e prende coraggiosamente le difese della compagna straniera, parlando anche dell'accaduto con l'insegnante di sostegno. Un atteggiamento che le costerà immediatamente gli insulti e l'emarginazione da parte degli altri. «È assurdo che ancora oggi le persone vengano trattate così – dice amareggiata la madre della studentessa che si è schierata al fianco della quindicenne extracomunitaria –. Com'è possibile che si scrivano certe cose su un gruppo in cui tutti leggono tutto? E la cosa più grave è che di venti ragazzi nessuno abbia avuto il coraggio di dire che si stava esagerando, nessuno abbia sentito il bisogno di chiedere scusa. Anzi, è scattato il meccanismo opposto: si incitano a vicenda a dire cose sempre peggiori, isolando sempre di più la vittima. Sono cose inaccettabili e pericolose». E qui il pensiero di una mamma va alle tragedie in cui a volte degenerano queste vicende: «Quante volte – mette in guardia – si sente di ragazzi che si suicidano perché sono stati vittime di situazioni del genere? Vogliamo arrivare a questo?».
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