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«Ho prestato la mia auto a Turco, era solo un favore»

«Ho prestato la mia auto a Turco, era solo un favore»

15 Gennaio 2017, 10:29

Chiara Pozzati

«Era solo un favore. Mai avrei immaginato che la mia macchina gli servisse per quello…».

«Quello» è il duplice omicidio di Luca Manici, in arte Kelly, e di Gabriela Andrea Altamirano in cui, suo malgrado, è rimasto coinvolto anche Ettore Zucchelli. Abita a Cassio ed è piombato in una storia (truce) più grande di lui.

Zucchelli è il testimone chiave di questa scabrosa vicenda, che ha permesso di mettere a fuoco gli spostamenti di Samuele Turco la notte della carneficina di Natale. Tutto smontando l’alibi già fragile del ristoratore catanese. La Volvo V40 di Zucchelli è quella utilizzata da Turco per raggiungere via Angelica, compiere la mattanza e secondo gli inquirenti per depistare le indagini. Tutto prima del teatrino di fronte al club a luci rosse, quando Samuele aveva finto di scoprire i cadaveri.

«Ho prestato la mia auto a Samuele la notte tra il 25 e il 26, ma non era la prima volta che accadeva – riavvolge il filo il proprietario della berlina -. In più, pochi giorni prima ero stato io a chiedergli in prestito l’auto perciò, per sdebitarmi, gliel’ho lasciata senza fare domande».

«Il peggio è che non mi sono accorto di quello che era accaduto la notte di Natale», aggiunge l’uomo. Zucchelli era un habitué del ristorante-affittacamere gestito da Turco: «La sera del 25, assieme alla mia ragazza, mi sono fermato al locale per comprare delle pizze da asporto. Erano le 22 e al lavoro c’era anche Alessio, anzi è stato proprio il ragazzo a farmi le pizze».

Nessun segno che lasciasse trapelare le intenzioni di Turco, «anzi erano entrambi piuttosto tranquilli. Gli ho detto di passare a prendere la mia Volvo sotto casa (l’ho lasciata aperta e con le chiavi inserite) e di riportarmela per le 2,30 massimo le 3 di notte. Questo perché avrei dovuto riaccompagnare a casa la mia fidanzata che abita a Fornovo».

Ma Zucchelli non poteva sapere quello che sarebbe accaduto nel casolare di via Angelica diventato teatro dell’orrore.

«Alle 3,30 l’auto non c’era ancora, così ho tentato di contattare sia Samuele, sia Alessio via Messenger. Non ho mai ricevuto risposta. Sono anche tornato alla pizzeria, nella speranza che la Volvo fosse lì e mi hanno visto alcuni clienti che dormivano nelle camere in affitto. Ho poi chiamato un taxi per riportare la mia fidanzata a casa, ma la notte tra Natale e Santo Stefano, poco prima dell’alba, era difficile trovare una vettura. Ecco perché alla fine siamo rimasti in attesa e ci siamo addormentati».

Fino alle otto del mattino del 26. Quando la berlina si è materializzata sotto casa di Zucchelli. «Ad accorgersene è stata la mia fidanzata. Quando l’ho vista era in condizioni pietose: zeppa di fango fuori e dentro. Di Samuele e Alessio nemmeno l’ombra».

Altre tracce nell’abitacolo della vettura? Qualcosa fuori posto? «Nulla, solo fango. Era come se si fossero impantanati da qualche parte. L’unico dettaglio è che era scomparsa la chiavetta usb che tenevo di fianco alla radio. Ho pensato fosse stato Alessio a rubarla. E’ un ventenne che vive nel suo mondo, per questo ho fatto finta di nulla».

Zucchelli racconta di essere crollato dopo la notte passata in bianco: «Dopo aver riaccompagnato la mia ragazza sono rimasto a dormire per gran parte della giornata».

Solo la sera del 27 dicembre ha rivisto padre e figlio. «Sono passato dalla pizzeria attorno alle 21, per prendere un caffè. Samuele sembrava giù di corda, mentre Alessio era sempre lo stesso. “Ti dovrò pagare la pulizia della macchina”, ha provato a offrirsi Samuele, ma io ho rifiutato. Pensavo l’avesse utilizzata per la pizzeria e anch’io spesso carico e scarico materiale per dei lavori saltuari, è facile che l’auto si inzaccheri. Per questo non ho fatto domande».

Il 29 Zucchelli era ancora all’oscuro di tutto. «Avevo sentito qualcosa in paese, ma non avevo avuto il tempo di seguire la vicenda sulla Gazzetta – dice quasi a giustificarsi -. Solo i primi di gennaio ho scoperto tutto. I poliziotti della Squadra mobile hanno bussato alla porta di casa e mi hanno spiegato».

La notizia ha avuto l’effetto di una staffilata: «Perché io li conoscevo tutti, ma nonostante questo per me era impensabile che accadesse una tragedia del genere. Avevo visto anche Gabriela che, per un periodo, ha lavorato insieme alla figlia nella pizzeria. Era in gamba e intelligente. Sapevo che Samuele era un donnaiolo, che Alessio sembrava sempre stralunato, ma nessuno aveva idea delle frequentazioni extra-lavoro. Dell’Angelica vip club non conoscevo neppure l’esistenza».

A Cassio nulla era emerso delle molte spine nella relazione tra l’argentina Gabriela e il pizzaiolo dalla doppia vita Samuele. Ancora oggi la liturgia di paese tende a dipingerli come la coppia più bella del mondo.

Ben diversa è la verità emersa a Salsomaggiore, lontano da questo placido spicchio d’Appennino, dove i dirimpettai ben conoscono i blitz di Turco sotto casa dell’argentina. Il tormento, le chiamate al 112, liti e riappacificazioni, chiarimenti che spesso duravano lo spazio di un mattino.

Un’indagine in salita fin dall’inizio, quella condotta dagli investigatori di borgo della Posta, coordinati dal sostituto procuratore Emanuela Podda. Che fin dalla prima ora hanno scavato nella vita delle vittime. E fin dal principio Samuele Turco era al centro della scena, con le sue menzogne che per nulla avevano convinto gli inquirenti.

L’auto di Zucchelli è stata sequestrata e passata al setaccio dagli uomini della Scientifica e così pure il coltello rinvenuto grazie alla testimonianza di Alessio. Rimane ancora da chiarire fino in fondo il ruolo del giovane, forse l’ultimo tassello in questa storia brutta, sporca e cattiva.

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