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Il pm: «Aversa? Pilotò anche il suo concorso per diventare professore ordinario»

Il pm: «Aversa? Pilotò anche il suo concorso per diventare professore ordinario»

04 Ottobre 2018, 03:14

Malattia antica, quella dei concorsi pilotati. E altrettanto contagiosa. Il morbo infetta vari atenei, dal Nord al Sud. Ci risiamo: sono sei i bandi finiti negli ingranaggi dell'inchiesta «Conquibus». L'accusa per i vari indagati? Abuso d'ufficio. Ma stavolta ad essere taroccato sarebbe stato lo stesso concorso da professore ordinario di Franco Aversa. Lui stesso, nel 2015, in concorso con Antonio Mutti (direttore del dipartimento di Medicina e chirurgia), con Giampietro Semenzato, Brunangelo Falini e William Arcese (rispettivamente professori di Ematologia a Padova, Perugia e Roma), oltre che con Pietro Schianchi, responsabile amministrativo di Medicina, avrebbe «confezionato» tutto l'iter per poi diventare ordinario.

La procedura selettiva, approvata dal consiglio di dipartimento, sarebbe infatti stata approvata con una scheda sul candidato, concordata da Aversa e Mutti, che elencava requisiti - guarda caso - posseduti solo dal direttore dell'Ematologia. E successivamente Aversa e Mutti - secondo la procura - si sarebbero messi d'accordo anche sui nomi dei componenti della commissione esaminatrice. Tanto premesso, l'unico candidato sarà poi Aversa. Che nel novembre del 2015 viene dichiarato «qualificato» a ricoprire il posto.

Ma oltre al nome di Mutti, ne figura un altro di peso tra gli indagati sul fronte dei concorsi che sarebbero stati predisposti ad hoc per accontentare qualcuno: Riccardo Bonadonna, professore associato dell'Università e direttore del reparto di Endocrinologia del Maggiore, è finito sotto inchiesta per abuso d'ufficio. Secondo quanto ricostruito dal Nas, tra marzo e giugno del 2016, lui e Aversa si sarebbero accordati per «assumere» Pamela Criscuoli in modo che la donna potesse fare da segretaria per tutti e due i reparti. La strategia? Creare una borsa di ricerca ad hoc. Così, a settembre il dipartimento fa il bando per la selezione, e tra i requisiti richiesti ci sono tutti quelli posseduti dalla Criscuoli. E una ventina di giorni dopo Mutti firma la determina che la dichiara vincitrice della borsa di ricerca.

Ma ci sarebbe anche chi ha vinto il concorso senza nemmeno presentarsi a una delle prove previste. Il caso - messo in luce dall'inchiesta - è quello di Maria Gullo, a cui nel 2016 è andato un assegno di ricerca. Nero su bianco, era stato verbalizzato che la Gullo aveva sostenuto la prova orale, in base a domande estratte da una busta chiusa: sotto quegli atti c'erano le firme di Aversa, di Nicola Giuliani e di Luisa Craviotto, oltre che della stessa candidata. Peccato, però, che non ci sarebbe stata alcuna prova. Analoga, poi, sarebbe stata la procedura per l'assegno di ricerca, sempre nel 2016, per Elena Masselli: anche in questo caso la dottoressa non avrebbe sostenuto alcuna prova orale, contrariamente a quanto scritto.

Ma nel sistema Aversa un posto di riguardo ce l'avevano anche i colleghi amici. Secondo gli inquirenti, nel luglio del 2016, sarebbe stato creato un assegno di ricerca ad hoc per il figlio di Luigina Romani, ordinario di Patologia generale all'Università di Perugia.

Anche il posto da ricercatore di Giovanni Roti, medico in servizio nel reparto di Aversa, nel 2016 sarebbe stato richiesto e approvato ad hoc dal consiglio di dipartimento, per poi avere il via libera con un decreto rettorale. Era il «modus operandi» di Aversa, secondo il gip. Che aggiunge: «In pratica, dapprima veniva individuata la persona da assumere e, soltanto dopo, veniva creato ad hoc un bando di gara per l’aggiudicazione di un contratto di ricerca, destinato a essere vinto dal prescelto». G.Az.

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