Una violenza bestiale e innescata dalla più ignobile delle pulsioni: il razzismo. Un quartiere nuovamente ferito da un episodio di brutalità: l'Oltretorrente. Ma anche un episodio di generoso e coraggioso altruismo: un cinquantenne algerino titolare di una pizzeria-kebbabberia che affronta cinque energumeni sui trent'anni con baveri alzati e cuffie, ai quali poco dopo se ne aggiungono altri quattro, che stanno selvaggiamente malmenando il suo collaboratore, un ivoriano di quarant'anni, colpevole, agli occhi dei vigliacchi che lo hanno aggredito, di una sola cosa: avere la pelle nera. Tutto questo è accaduto nella tarda serata di venerdì, ma è emerso soltanto ieri in Consiglio comunale in seguito a una comunicazione di Marion Gaida, consigliere aggiunto in rappresentanza della comunità straniera. Protagonisti dell'inquietante episodio sono Said, popolarissimo e assai amato titolare della pizzeria-kebbaberia Carpe Diem di via D'Azeglio 69, e il suo dipendente di nazionalità ivoriana.
«Sono sconvolto - racconta Said, ancora turbato dalla bruttissima vicenda -. Non avevo mai visto una simile violenza. Parma è una città pacifica, questa cose non possono succedere. Devo però dire che quei delinquenti erano italiani che parlavano con accento meridionale. Uno solo aveva l'accento parmigiano». Said, un omone di un metro e ottantasette che si considera parmigiano e che parla molto bene non solo l'italiano ma anche il dialetto, ricostruisce il pestaggio con gli occhi velati di tristezza: «Era l'una di notte. Io e il mio collaboratore abbiamo tirato giù la saracinesca e ci siamo diretti verso piazzale Santa Croce per rincasare, lui in bicicletta e io in macchina. Passa qualche minuto, io sono già in via Pasini, quando mi squilla il cellulare: è il mio amico che grida: ''Sei appena passato, ma non vedi che mi stanno picchiando?''. Io, che non mi ero accorto di nulla, faccio subito inversione nel parcheggio che costeggia il parco, arrivo velocemente nel piazzale, scendo e vedo il mio collaboratore che si ripara con la bicicletta dalle botte di cinque sconosciuti di circa trent'anni a volto in parte coperto che lo insultavano pesantemente con frasi razziste».
Il pestaggio avviene vicino al chiosco del venditore di castagne. L'ivoriano riesce a deviare i colpi sulla parte alta della schiena e disperatamente grida a quello che picchia più duro: «Perché mi stai picchiando... per quale motivo... io non ti conosco neanche... non ti ho fatto niente...». Said si scaglia in sua difesa, mentre altri quattro energumeni si aggiungono ai cinque: «Cosa fate? Chiamo la polizia». E fa immediatamente il numero del 113.
A quel punto, i delinquenti si allontanano verso via D'Azeglio. Said li insegue a piedi e blocca il principale picchiatore del suo amico, che però ha una reazione fulminea: «Con una velocissima e micidiale mossa di karatè o di qualche altra arte marziale mi ha colpito al petto e mi ha fatto cadere violentemente a terra. Ho riportato contusioni a un ginocchio e a una mano, e al pronto soccorso mi hanno poi dato dieci giorni di prognosi».
I nove balordi, uno dei quali alto quasi due metri, si stanno dirigendo verso via Cocconcelli. Said non molla. La gamba gli fa male, ma l'istinto di inseguire quei vigliacchi è ancora più forte del dolore fisco che sta provando. L'inseguimento finisce in via Imbriani, dove una Volvo nera sta aspettando quel mascalzone. Gli altri, frattanto, riescono a dileguarsi prima dell'arrivo di tre auto della polizia e di una dei carabinieri.
Una brutta avventura, quella vissuta dai parmigiani di origine africana: «Sono soprattutto amareggiato - dice Said -, ho aspettato qualche giorno prima rendere noto il fatto perché mi spiace moltissimo che via D'Azeglio e piazzale Santa Croce facciano brutta figura. E' stato un atto di razzismo, certo, però ci tengo a dire che Parma non è una città razzista e, infatti, quasi tutti quei farabutti non erano parmigiani».
Amarezza e molta indignazione da parte del consigliere aggiunto Gaida: «Ho comunicato il fatto ieri in consiglio comunale e il vicesindaco Bosi ha espresso solidarietà a Said, che conosce bene e stima, portandolo ad esempio di integrazione. Da parte mia ho auspicato che le forze dell'ordine possano al più presto identificare e rintracciare i responsabili di questo terribile episodio». Frattanto, in pizzeria, Said e il suo collaboratore continuano a lavorare sodo. I clienti entrano ed esprimono la loro solidarietà e amicizia. E l'atmosfera che si respira è appunto quella dell'amicizia, e di una sana, costruttiva voglia di reagire alla stupidità che è sempre alla base del razzismo.
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