Anna Maria Ferrari
Allarga le braccia e ti fissa dritto negli occhi: «Ci sarebbe da fare un lungo discorso, cosa vuole che dica: qui è arrivata troppa robaccia. Troppe porcherie». Adriano Vanoli avrà sessant'anni, fa l'ambulante da una vita, ha ereditato il banchetto dal padre e dal nonno e adesso di fianco a lui c'è il figlio: generazioni di pramzan al mercato. Mostra la sua bancarella «tutto per la casa», è fiero di avere un mestiere e di farlo bene: caffettiere, cucchiai, ciotole, pentole, posate, un assortimento che non ha niente da invidiare a un negozio ben fornito. Arriva una cliente: «Ha un macinapepe?». Adriano fruga nel furgone, eccolo. Parmigiano da sempre, innamorato del mercato: ma adesso non ce la fa più. «Quando vedo quelle signore in pelliccia che vanno a frugare lì in mezzo agli stracci... Ma si rendono conto?».
La transizione è qui
La «robaccia». Gli stracci. E' un ritornello, la colonna sonora di come sta cambiando il mondo del commercio ambulante a Parma e forse in Italia. Eccolo, il mercato di via Traversetolo: un fazzoletto sottratto a un enorme parcheggio, 40 bancarelle circa, non c'è una piazza raccolta che ti abbraccia, ma un spazio aperto, sotto la pioggia appare un po' desolato. E in fondo, la sagoma dell'Esselunga. Un mercato a cavalcioni tra passato e futuro, diviso in due, perché c'è ancora l'aria una volta, con la varietà di merce e di vita delle bancarelle che conosciamo, la caccia all'affare che non trovi in negozio, lo spirito del mercato. Ma c'è anche l'altra pagina, cioè l'ondata del «second hand», il mercatino delle pulci che nei rioni, da qualche mese, sta soppiantando il mercato tradizionale. Fianco a fianco, ma separati in casa: una quindicina le bancarelle normali, classiche, con merce nuova. Gli ambulanti che resistono. Le altre 25, tutte con abiti usati, un euro o due al pezzo. Sono queste le più affollate, tantissimi i parmigiani. Un pensionato tira fuori una giacca a vento usata: «Due euro, certo che la prendo. Il mio nome? No - sorride - Non glielo dico». Sono i clienti anziani, tantissimi, quelli che prima delle crisi compravano abiti nuovi e facevano shopping nel negozio sotto casa. Adesso non più. I nostri vecchi che arrancano per arrivare a fine mese.
Resistenti, ma per quanto?
Nove di martedì mattina, pioggerella. Esiste da circa 8 anni, questo mercato che è amato dalla gente del quartiere e continua ad esserlo, anche se in tanti rimpiangono il passato: «Prima c'era di tutto, roba nostra. Adesso la gente che vuole trovare qualcosa di bello non viene più». Circa 15 gli ambulanti col posto fisso, tutti gli altri sono spuntisti, divisi in due classi: quelli di serie A, che hanno sempre lo stesso posto, e quelli di serie B, che si accontentano di ciò che resta. Tutti pagano 30 euro di plateatico, tutti dicono: «E' troppo caro».
Il muro di Berlino
Fai un passo e salti il confine immaginario, il muro di Berlino del mercato. Da una parte, gli ambulanti italiani, tutta merce coi cartellini, abiti ben piegati, giacche appese in ordine agli stendini. Dall'altra, gli stranieri dell'usato. Abiti buttati alla rinfusa, prezzi stracciati. Due mondi che non si parlano, non si sopportano, si guardano in cagnesco. Separati anche i clienti. «Questa è diventata una discarica, specialmente dalla parte di lì - dice Rosa Zeraschi, cliente del banchetto di gomitoli e biancheria per la casa, appartamento in zona - Fino al 2012 è stato un mercato normale, c'era persino il Folletto. Ho telefonato in Comune per protestare, ci vogliono della regole, ho detto». Viene da Seregno, Monza, Roberto Mura. Prima faceva il rappresentante di lane, poi la crisi e la scelta di cambiare vita: il banchetto in mezzo alla gente, i gomitoli colorati impilati nelle scatole, l'esperienza di lavoro rimessa in gioco con tutto il sapere e l'amore accumulati negli anni. Roberto della lana sa tutto: «Eh sì, a Parma avevate Zuccheri, il negozio di lane più bello d'Italia, una vera chicca. Ha chiuso. Al mercato non c'era la lana, l'ho portata io». Pura lana merinos, due euro e mezzo a gomitolo, 1 euro l'acrilico. Ha le idee chiare su quello che è successo: «Si è persa la varietà dei banchetti, guardi lì quelli dell'usato: è tutto uguale, il cliente prende da una parte e magari si sbaglia e paga dall'altra. Ma come si fa. Una volta c'erano il fruttivendolo, il fornaio, il macellaio, gli articoli per la casa. Tutto un mondo che sta morendo». Un cambiamento sulla pelle degli ambulanti, che «soffrono. Una volta il futuro lo potevi calcolare, adesso no». L'ondata dell'usato ha travolto tutto, mettici anche i centri commerciali, internet: «Il Comune sta cercando di fare qualcosa, ad esempio controlla che gli ambulanti siano in regola coi pagamenti. Ma non basta».
Uno strano giro d'affari
Non basta anche secondo Ilenia Torelli, reggiana, banchetto di vestiti di marca: «Vi siete guardati attorno? Dov'è scritto che quella lì è roba usata? Poi ci vorrebbe una sanificazione, tante volte l'ho detto ai vigili. Controlli dell'Ausl, regole rispettate da tutti. Quel tipo di offerta non porta una clientela media. Poi ci vogliono spazi esclusivi solo per l'usato». E' arrabbiata, Ilenia, perché «qui c'è un vero e proprio giro di affari. Venga alle otto, vedrebbe quelli che arrivano, acquistano un sacco di vestiti usati a pochissimo, poi li vanno a rivendere ai mercatini del riuso». Di fronte a lei c'è Alessandro Nestola, «tutta roba da stock, fallimenti: Intimissimo, Max Mara, Igi&Co, Kep's, Sophie», ascolta e annuisce: «Bisogna distinguere gli spazi». E' pakistatano, Samuel Young, ma la nazionalità non conta: la pensa come i colleghi italiani. Lui vende merce nuova, prodotti d'artigianato. In Italia da 14 anni, due figli che manteneva con un'agenzia di viaggi a Brescia, è stato costretto a chiudere perché ormai i viaggi la gente se li organizza su internet. Adesso sbarca il lunario col suo banchetto di collane e bigiotteria da 4 a 12 euro, i colori e le magia dell'Oriente: «Quelle con la madreperla sono le più care. Ma ormai si comprano solo le cose che costano meno». Non si lamenta, invece, Francesco Bolzoni, banchetto del pesce fresco e cucinato, avamposto di vendita diretta dell'azienda Cose di mare. «Tutto pesce nostrano, lo lavoriamo noi, abbiamo una clientela affezionata». Ma anche per lui il mercato è peggiorato, «stamattina mi hanno rubato il baccalà, qualche mese fa la latta di acciughe che avevo messo davanti al banchetto».
La torta fritta
Polenta e torta fritta a 40 centesimi il pezzo, un prefabbricato che è diventato un avamposto di parmigianità: «Sì, riesco a viverci - cappello e maglietta immacolata, Agostino Tagliaferro parla e allunga un cartoccio bollente a un cliente - Prima avevo una tabaccheria, l'ho venduta, l'unica cosa decente che sono riuscito a comprare è questa. I clienti? Tanti. Moltissimi stranieri che apprezzano la torta fritta». Davanti a lui, Umberto, un cliente, dice: «Per me è vitale, vengo a far scorta per qualche giorno».
Sapori degli altri mondi
Dalla torta fritta al hrean, il rafano. Dai sapori pramzan ai gusti dell'Est. In fondo alla piazza, c'è «L'orto di Gheorghe», frutta e verdura a km zero dell'azienda agricola «Millefiori» di San Polo d'Enza. Insalate e pomodori, ma anche salami, pancette, coppe, ciccioli, «tutti fatti da noi, sono il nostro orgoglio», dice Camelia, romena, moglie del titolare dell'azienda. «Siamo partiti per hobby con una piccola serra, andava bene, la gente cercava sempre più i nostri prodotti. Siamo cresciuti ed eccoci qui». Eccoci qui. A far conoscere il leustean, una specie di sedano che si mette nel brodo, il marar, l'aneto, il gogosari, peperone rosso e carnoso, il hrean, il rafano. La città che cambia, anche a tavola: si capisce bene qui, in via Traversetolo. Il piccolo mercato di questa complicata transizione.
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