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Lucca? Parla Longobardi

Lucca? Parla Longobardi

29 Maggio 2017, 13:56

Paolo Grossi

La Lucchese ha attraversato, in questa stagione, grosse difficoltà di ordine economico. Lo testimoniano i due punti di penalizzazione ricevuti, uno per una fidejussione irregolare e l'altro per il mancato versamento dei contributi relativi agli stipendi di luglio e agosto dei suoi tesserati e dipendenti. Eppure in quei frangenti lo spogliatoio s'è cementato, sono uscite le doti umane dei singoli giocatori, che a gennaio hanno saputo far fronte anche alle cessioni, necessarie a monetizzare, di Forte e Terrani, 19 gol in due nel girone d'andata. A confermarlo è la voce di un recente beniamino dei tifosi crociati. Cristian Longobardi infatti, conclusa la sua esperienza a Parma, in estate si era accasato proprio alla Lucchese, da dove, anche lui in gennaio, s'è poi trasferito all'Imolese, in D.

«Sono stato a Lucca pochi mesi - racconta il «Longo» - ma è bastato per toccare con mano da un lato le oggettive difficoltà di un club e dall'altro le straordinarie doti umane dei giocatori e del diesse Obbedio, che non ci ha mai nascosto nulla e ci ha tenuti coinvolti positivamente. Al di là dei ritardi nei pagamenti, si percepiva anche nelle piccole cose, dalla logistica alla gestione degli allenamenti, che le cose non andavano. L'unica vera professionalità era quella profusa sul campo da giocatori e tecnici. Però il gruppo ha risposto alla grande e arrivare nelle prime otto della Lega Pro è stato un premio non certo casuale».

Quindi è lo spirito di gruppo dei toscani la loro prerogativa più temibile?

«Direi proprio di sì, il Parma non deve prendere sottogamba un'avversaria che pure tecnicamente le è inferiore. Se è arrivata fin lì la Lucchese ha dei valori».

Sul piano individuale chi bisogna tenere d'occhio?

«Mingazzini, Capuano e Fanucchi sono gli elementi più esperti, i pilastri dello spogliatoio. Anche Merlonghi, pur giocando meno, è ormai una bandiera. Poi dico De Feo, un attaccante tecnico e sgusciante e anche il portiere Nobile, che è giovane ma è cresciuto tantissimo e trasmette sicurezza al reparto. Più che altro però è il clima di grande entusiasmo che, specie in casa, può spingere la squadra».

Quando, a novembre, a Parma c'è stato il ribaltone dello staff tecnico, che cos'hai pensato?

«Ho provato un grosso dispiacere per le persone a cui mi ero legato lì a Parma. L'avventura era nata con il progetto di praticare un calcio diverso. Però anch'io sono uomo di calcio e capisco che una grande piazza come Parma non possa aspettare a lungo in terza serie, quindi, senza entrare nel merito della decisione, non mi stupisco. Spero che alla fine possa dare i frutti sperati».

E quando invece hai sentito del caso-Ancona, della conferenza stampa di gruppo da parte della squadra? Se ci fossi stato anche tu come ti saresti sentito?

«Molto incazzato, di sicuro. Anche perché conosco bene lo spessore morale di gente come Lucarelli, Corapi, Giorgino, e non riesco proprio a immaginare scenari diversi dall'estraneità totale della squadra a certi fatti. Solo che in Italia c'è il malvezzo di pensare sempre male, c'è un diffuso clima di sospetto, che purtroppo non è sempre immotivato perché fatti loschi ce ne sono stati. E questo si trasforma spesso in fango immeritato per tanti protagonisti. Ma sono vicende su cui va messa al più presto una pietra perché non disturbino i traguardi sportivi».

Tornando con la mente alla cavalcata in serie D con il Parma, quali sono i flash che rimangono?

«Tanti, davvero. Si va dal corteo dei tifosi che ci ha accompagnato allo stadio il giorno del debutto casalingo al gol decisivo che proprio in quella gara ho segnato al Villafranca, andando poi a esultare sotto la curva Nord. C'è stata la doppietta nel derby con il Lentigione e forse, la cosa più toccante, l'abbraccio di tutto il mondo crociato quando, dopo tre mesi di assenza per l'infortunio e l'operazione che avevo subito, sono rientrato in campo al Tardini con la Clodiense e ho fatto anche gol. Da brividi».

Sei un globetrotter del calcio. L'anno prossimo rimarrai a Imola o farai ancora la valigia?

«Devo parlare con il club, che chiederà il ripescaggio in Lega Pro (come ha fatto l'anno scorso il Forlì ndr). Tra poche settimane compio 35 anni, ma dopo un 2016 fisicamente tribolato, negli ultimi mesi ho avuto ottime sensazioni e credo di poter ancora dare tanto per un paio di campionati. Insomma, sento ancora dentro il fuoco e quando smetterò penso che allenerò dei giovani, perché mi piace vederli crescere e aiutarli nel loro percorso».

Mestieri diversi, ma la passione che hai sempre dimostrato ti dovrebbe aiutare.

«So che il passato da calciatore non conta, o meglio non basta, per far bene l'allenatore, e che bisogna riproporsi con umiltà. Sono sempre rimasto impressionato dalle emozioni che ci trasmetteva Nevio Scala quando l'anno scorso, seppur da presidente, entrava nello spogliatoio. Con parole semplici sapeva emozionarci e spingerci a dare il meglio. Vorrei prendere esempio da lui sull'atteggiamento con cui presentarmi ai miei futuri giocatori».

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