Georgia Azzali
Fotogrammi di un orrore. Solomon Nyantakyi che colpisce la madre Patience per 26 volte con un coltello da cucina e si avventa sulla sorella Magdalin di undici anni: altri 18 fendenti, mentre lei cerca di scappare. E poi quell'accanimento sui corpi: nuove coltellate all'addome, quando ormai tutte e due sono morte, e un colpo di mannaia per tentare di spezzare la gamba della piccola Maddy. Poche righe per raccontare la mattanza di quel pomeriggio di luglio nell'appartamento al sesto piano di via San Leonardo: l'avviso di conclusione delle indagini, depositato nei giorni scorsi, è un distillato di atrocità. Difficile da leggere, quella ricostruzione piena di termini medico-legali ineccepibili e terribili allo stesso tempo. Si fatica a trovare una «ragione» in quella sequenza di morte. Forse la risposta sta nel gorgo di disperazione e follia in cui era sprofondato Solomon, ghanese, 22 anni ancora da compiere. Così gravi le sue ossessioni che il consulente della procura, Renato Ariatti, l'ha ritenuto incapace di intendere e volere, oltre che socialmente pericoloso. E dal carcere di via Burla Solomon è stato trasferito, lo scorso ottobre, nella Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza) di Mezzani. Una volta passati i 20 giorni previsti dalla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini, il pm Paola Dal Monte - che ha coordinato l'inchiesta - chiederà il rinvio a giudizio. Ma poi potremmo assistere a un processo-lampo: se Solomon sarà giudicato totalmente incapace di intendere e volere, sarà assolto. E per alcuni anni (ammesso che venga ritenuto ancora socialmente pericoloso) rimarrà rinchiuso in una Rems, le strutture che hanno preso il posto degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Sono passati poco più di tre anni da quella prima panchina in serie A con la maglia del Parma: Solomon che parlava timido davanti alle telecamere e aveva come idolo Cuadrado. Solo tre anni, ma quella era l'altra vita. «La depressione è nata da lì: il suo sogno era sfumato. Dopo che il Parma è fallito, non ha più trovato una squadra che gli piacesse», ha spiegato il padre Fred. E così sono cresciuti i fantasmi. Fino al massacro dell'11 luglio nella casa di via San Leonardo. Sono circa le 2 del pomeriggio: è la madre la prima contro cui Solomon si avventa. «Abbiamo litigato, e poi ho cominciato a colpire», aveva detto subito dopo essere stato bloccato in stazione a Milano, la mattina successiva alla strage. Patience è in soggiorno e viene aggredita frontalmente: tenta di difendersi, però un colpo le lacera un polmone e un altro, nella zona intercostale, provoca una lesione gravissima al cuore. E' quello fatale, ma Solomon le ha già sferrato un'altra serie impressionante di coltellate alla nuca e sul dorso, oltre che al torace e all'addome.
L'obiettivo era Patience: gli inquirenti ne sono convinti. Perché i rimproveri che qualunque madre avrebbe fatto a un figlio forse un po' indolente, dopo il sogno infranto del calcio, ormai erano diventati insopportabili per Solomon. Per il suo equilibrio che correva sul filo della follia. E Maddy? Forse ha avuto semplicemente la sfortuna di essere in casa nel momento sbagliato. Era sempre stato dolce con lei: l'accompagnava a prendere il gelato, l'andava a prendere nel laboratorio di via San Leonardo, dove la piccola faceva i compiti. Ma quel pomeriggio Maddy sente le urla strazianti della madre e si precipita in soggiorno. Solomon la aggredisce con lo stesso coltello con cui ha ucciso la madre, nonostante la bambina cerchi aiuto e tenti di scappare da quella casa che invece diventa una trappola mortale. Il primo fendente la colpisce alla clavicola destra, ma è talmente violento da penetrare fino al polmone. Poi, una furia di colpi, soprattutto nella zona dorsale. Non respira più la piccola Maddy, ma Solomon ha già oltrepassato il «confine»: prende una mannaia da cucina e sferra un colpo sotto il ginocchio destro della sorella. E' l'ultimo atto di quella sequenza atroce. Di un abisso che ha inghiottito anche Solomon.
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