Una nuova speranza nella lotta all’Hiv parla parmigiano. Una scienziata di casa nostra – uno dei tanti cervelli in fuga, che ha lasciato l’Italia e sta facendo una brillantissima carriera negli Stati Uniti – ha messo a segno un colpo importantissimo. Una scoperta che potrebbe rilevarsi sensazionale, perché può essere il punto di partenza per la nascita di farmaci sempre più efficaci (e sempre meno tossici) per sconfiggere l’Hiv.
La scienziata è Elisabetta Viani Puglisi, parmigiana purosangue: le radici e il cuore sono divisi tra Soragna e Neviano Arduini, anche se da anni vive in California e lavora alla Stanford University. Da un paio di decenni scienziati di tutto il mondo studiavano come “fotografare” il momento di replicazione del virus. Lei, con il suo staff, c’è riuscita. La sua scoperta è stata pubblicata su “Nature”, la più prestigiosa rivista scientifica al mondo, il sogno di qualsiasi ricercatore. Una testata, una leggenda. Non è un caso che proprio su “Nature”, più di sessant’anni fa (era il 1953) Watson e Crick presentarono la scoperta della struttura del Dna, giusto per citare una cosa che ha cambiato il mondo.
IL VIRUS KILLER
La scoperta di Elisabetta Viani Puglisi e della sua équipe riguarda il subdolo metodo di replicazione del virus Hiv. Si tratta del tristemente celebre virus killer che causa l’Aids e che, da anni, infesta i cinque continenti: oggi nel mondo ci sono più di 37 milioni di persone infette da Hiv. Nonostante numerose terapie multiple antivirali, il numero di infezioni aumenta ogni anno.
La ricerca ha permesso di fotografare il meccanismo di replicazione del virus, cosa che non era riuscita a nessuno fino ad oggi e che dà una nuova, concreta speranza di fornire indizi fondamentali per riuscire a bloccare il virus con nuovi farmaci.
IL MECCANISMO
«Ogni virus contiene il proprio materiale genetico ma si può replicare solamente usando la macchina biologica della cellula che infetta – spiega la scienziata parmigiana –. Il virus dell’Hiv è un “retrovirus”, il che significa che il suo materiale genetico, quindi le istruzioni per la sua replicazione, sono scritte nell’Rna, il “cugino” del Dna. Quando l’Hiv infetta una cellula, l’Rna viene copiato nel Dna da un enzima contenuto nel virus. Questo Dna, che ha tutte le informazioni per generare nuovi virus, viene integrato nel Dna delle cellule che ha infettato, dove rimane nascosto».
«La “copia” dell’Rna è il primo step della replicazione del virus – spiega ancora –. Da più di vent’anni noi e altri gruppi in tutto il mondo stiamo studiando come inizia il processo di “copia” al momento dell’infezione».
Per capire era importante avere un’immagine del complesso delle tre molecole necessarie ad iniziare la replicazione (enzima, Rna virale, tRna umano) catturate nell’atto di inizio della “copia”.
«Ma ottenere immagini di molecole in tre dimensioni è un processo molto laborioso e può essere affrontato con tecniche diverse. Noi e tanti altri gruppi abbiamo applicato molti di questi metodi cercando senza successo di ottenere immagini chiare, ma la soluzione era sfuggita a tutti perché l’enzima non rimaneva legato per un tempo sufficiente al suo substrato».
LA SCOPERTA
Finalmente un allievo della scienziata, Kevin Larsen, con un esperimento delicatissimo è riuscito a “legare” l’enzima e l’Rna. Il gruppo di ricercatori è poi riuscito a congelare il complesso e ha ottenuto le prime mappe con il microscopio elettronico. Usando tecniche molto sofisticate, è riuscito infine a ottenere le prime immagini del complesso di inizio della “copia”.
«Ciò che abbiamo visto era assolutamente inaspettato. La struttura dell’enzima era già nota, ma la cosa nuova è che il resto dell’Rna virale si avvolge intorno all’enzima e crea strutture complesse che devono snodarsi lentamente per permetterne la copiatura. Con ancora maggiore sorpresa abbiamo scoperto che il virus stravolge completamente la struttura del tRna umano e lo trasforma in un’elica lunghissima in questi primi passaggi della replicazione».
LA PUBBLICAZIONE
Elisabetta Viani Puglisi e il suo staff si sono subito resi conto dell’importanza della scoperta. E hanno mandato a “Nature” il manoscritto dello studio. Era lo scorso settembre: l’iter che va dalla proposta alla pubblicazione, nelle riviste scientifiche, dura mesi. E’ particolarmente lungo per le riviste più prestigiose (nei rari casi in cui la proposta viene accolta): lo studio viene inviato a studiosi internazionali (i “referee”), il cui compito è valutare l’originalità e l’importanza della scoperta. Fanno critiche, avanzano richieste di approfondimenti, propongono correzioni. Si tratta di scienziati di livello mondiale che lavorano in incognito. «Nel nostro caso, le osservazioni hanno contribuito al miglioramento dello studio». Infine, poche settimane fa, la pubblicazione (con il titolo “Architecture of an HIV-1 reverse transcriptase initiation complex”). «E’ stato davvero un grande onore pubblicare su “Nature”. Un’enorme emozione, se penso che è la rivista sulla quale è uscita la scoperta di Watson e Crick».
In pochi giorni sono arrivati complimenti da tutto il mondo. Colleghi scienziati, rivali, amici. Una grandissima soddisfazione. E ora? «Ora siamo già al lavoro, proiettati su nuovi obiettivi. Per riuscire a ottenere immagini ancora più ampie e dettagliate».
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Elisabetta Viani Puglisi si è laureata in Chimica all’Università di Parma nel 1988. Si è poi trasferita a Brescia, dove ha conseguito il Dottorato di ricerca in Microbiologia (1993) e ha lavorato per tre anni con il Professor Adolfo Turano. Ha poi completato gli studi al Massachussets Institute of Technology di Boston dove ha lavorato due anni. Quindi tre anni all’Università di California Santa Cruz per il post-dottorato, prima di trasferirsi alla Stanford University, dove tuttora conduce le sue ricerche.
Si tratta di un’università molto prestigiosa, che si trova 60 chilometri a sud di San Francisco e che è legata a doppio filo con la Silicon Valley: dalla Stanford University sono usciti, tra gli altri, i fondatori di Google, Larry Page e Sergey Brin, della Hp, di Yahoo!, di Electronic Arts.
«Sono molto fiera di essere Italiana ma soprattutto soragnina e nevianese. Da quando mi sono trasferita negli Stati Uniti ho fatto molti sforzi per assicurare che io e i miei figli non perdessimo quella ricchezza che esiste solo nelle terre del Parmense. Intendo i legami di paese, le amicizie forti, cose molto difficili da trovare nei grandi spazi americani. Senza le costanti iniezioni di affetto, di simpatia e di autenticità che trovo a casa non sarei stata capace di affrontare tutte le difficoltà della vita all’estero. Della mia terra mi manca proprio questo: parlare in dialetto, sentire che non si è mai soli, e due fette di culatello». c.r.
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