LUCA MOLINARI
Stilare statistiche, quando si parla del dolore più grande, pare quasi una profanazione. Eppure anche i numeri con la loro freddezza forse servono per capire, per prendere coscienza del fatto che nella provincia di Parma, lo scorso anno, 34 persone hanno fatto la scelta estrema; che 31 uomini e tre donne hanno scelto di mettere fine alla propria vita.
E' una cifra che lascia sgomenti ma quello che questo numero non rende subito evidente è che si tratta di una tendenza che non accenna a diminuire. Anzi che, con un andamento altalenante, diventa con il tempo ancora più drammatica.
A scorrere infatti i dati dell'Istat (nel 2015, l'ultimo anno disponibile) i suicidi in Italia sono stati quasi 4mila, con un tasso di poco superiore a 6 su 100 mila abitanti. La nostra città, lo abbiamo detto, ha una incidenza peggiore. E occorrerebbe capire perché anche se, allargando il campo a livello europeo, il nostro Paese resta uno tra quelli con il tasso di suicidi più basso in assoluto. Lontano dalle tragiche statistiche di stati come la Lituania, Slovenia, Lettonia e Ungheria.
Tentando di analizzare nel dettaglio queste cifre si coglie che il gesto estremo riguarda in maniera prevalente gli uomini. E anche questo fatto andrebbe analizzato per provare ad intuire le motivazioni, quale che sia la molla. E cosa porti a rendere insopportabile il futuro.
«Si pensa al suicidio quando diventa intollerabile vivere – spiega Patrizia Ceroni, psichiatria del dipartimento di Salute mentale dell’Ausl – e, solitamente, diventa più frequente con l’avanzare dell’età. Spesso infatti nel diventare anziani si assiste a un depauperamento della rete sociale, a volte accompagnato da problemi fisici o disagio economico».
I fattori in gioco, insomma, sono molteplici. E non sono necessariamente legati a un disturbo mentale o ad una malattia grave.
«Si tratta di un tema estremamente complesso – osserva la psichiatra – legato ad a un insieme molto ampio di fattori. Non ci si può limitare ad un mero collegamento a disturbi mentali o malattie».
I suicidi che riguardano persone con problemi di salute mentale sono infatti meno del 10% del totale. «Ci sono certamente dei fattori di rischio – precisa Patrizia Ceroni – come ad esempio, la bipolarità, l’abuso di sostanze stupefacenti, la depressione. Ma la maggior parte delle persone che soffre di questi problemi non arriva ad un gesto estremo. Bisogna quindi necessariamente allargare il campo di interesse a tutta la comunità quando si parla di suicidi. Serve una attenzione non solo sanitaria, ma di tutti coloro che si occupano del benessere della persona nel suo complesso».
Insomma, anche in un tema così particolare, la prevenzione rimane fondamentale. «Bisogna effettuare una corretta valutazione del rischio e mettere in atto una serie di pratiche – conclude – che variano a seconda dei singoli casi. Tutti possiamo vivere l’esperienza dell’esasperazione ma è fondamentale far emergere queste problematiche e parlarne».
E, se serve, rivolgersi subito al medico di famiglia che può valutare la serietà del disturbo e nel caso consigliare una consulenza psichiatrica. Il pudore e il timore di essere giudicati non deve fermare visto sono più di ottomila i maggiorenni che lo scorso anno hanno ricevuto almeno una prestazione dai servizi di salute mentale sparsi per tutta la provincia. «Serve un ascolto attento – sottolinea Patrizia Ceroni – soprattutto per captare eventuali campanelli d’allarme. Spesso il suicidio è un argomento tabù, ma non bisogna temere di affrontare il tema se c’è qualcosa che inizia a suonare strano come, ad esempio, i ripetuti incidenti in motorino o auto, l’uso di sostanze stupefacenti, gli eccessi con l’alcool, fino all’autolesionismo».
Nella nostra società del tutto e subito «c’è una bassa tolleranza alle frustrazioni e una ricerca del piacere immediato. Oggi anche un piccolo fallimento è difficile da elaborare». E per qualcuno, addirittura, impossibile da sopportare.
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