Mara Pedrabissi
Robert De Niro era «Il cacciatore» per Michael Cimino. Quarant’anni dopo, Gene Gnocchi è «Il procacciatore» sul palcoscenico. In realtà, solo un gioco di assonanze e immagini tra titolo/ locandina del film del 1978 e quelli dello spettacolo teatrale che ha debuttato in novembre al Franco Parenti di Milano. La tournée fa tappa al Magnani della natìa Fidenza mercoledì 21 febbraio, alle 21. Voglia di casa per l’arruffato Gene? Neanche a parlarne: tra una «copertina» e l’altra del programma di Giovanni Floris, progetta la prossima stagione in tivù, sempre sulla rete di Cairo: «un preserale, prima del tigì di Mentana e magari un programma sportivo, di domenica o lunedì, ma è ancora un “pour parler”»...
Torniamo a «Il procacciatore», allora, di cosa si tratta?
«Il procacciatore è il mio personaggio, il protagonista del monologo. E’ un uomo che vuole dare delle speranze agli italiani. E lo fa andando in giro, tenendo conferenze. In uno dei suoi eventi, mentre mostra delle slide dal telefonino, gli occorre un incidente. Esce sullo schermo un messaggio personale che ingarbuglia tutta la situazione. E’ il messaggio di una donna, non posso svelare di più... Dovrà uscire dall’empasse con l’aiuto del pubblico».
In molti tuoi libri, penso a «Il signor Leprotti è sensibile» o «Cosa fare a Faenza quando sei morto», domina il registro tragicomico. E’ così anche in questo spettacolo?
«No, direi che è molto ilare. Nella mia scrittura, è vero, c’è un’amarezza di fondo perché sono flaianeo: l’umorista è anche moralista; il mondo che attraverso non mi piace e lo annoto. Gli spettacoli, al contrario, nascono per far divertire».
E’ scritto a quattro mani con Simone Bedetti, filosofo e autore. Come nasce il feeling con lui?
«In passato ho collaborato con molti autori, anche televisivi. Ma trovavo che si fermassero un po’ ai soliti cliché. Simone ha una formazione diversa, sa andare oltre. Abbiamo molte consonanze, per questo lavoriamo insieme da 15 anni».
A teatro tutto è finto, niente è falso. Quali sono i temi che destano maggiore ilarità?
«Sicuramente la vita quotidiana. Accomuna tutti e fa sempre presa. La politica meno, magari in questo momento, che siamo sotto elezioni, un po’ di più».
A proposito, a «Di Martedì» ti confronti con i politici, li sbeffeggi. Li trovi più «sensibili» adesso?
«Noto soprattutto quanto siano cambiati i nostri governanti. Una volta c’era la “tribuna” di Jader Jacobelli e nulla più. Adesso i politici, perennemente sotto i riflettori, sono diventati animali televisivi. Riducono tutto a slogan, a scapito della concretezza, delle reali coperture».
Una tua battuta ha scatenato un putiferio. Sono arrivate lettere indignate anche al nostro giornale. Provi a chiarire?
«L’episodio è stato strumentalizzato. Voglio ricordare come è nato. La Meloni continuava a postare foto del maiale in giro per Roma. Nella mia mente comica, l’ho associata a chi perde il gattino e lo segnala sui social nella speranza di ritrovarlo. Vista l’area politica della Meloni, l’ho chiamato Claretta Petacci. Ma poteva essere un qualsiasi altro animale, un criceto o una cocorita. Nelle nostre campagne, molti hanno la mucca Nilde Iotti; io ad esempio ho un cinghiale e l’ho chiamato Pedrabissi. Ha strumentalizzato chi ha voluto intendere che io dessi della maiala a Claretta Petacci. Faccio migliaia di battute, alcune riuscite altre meno, ma la volgarità non mi appartiene».
Nell’ambiente sportivo, sono meno permalosi o tanti anni di «Rompipallone» ti hanno fatto dei nemico?
«I meno permalosi sono i giocatori, ragazzi che sanno stare al gioco. Più si sale nelle gerarchie, più si trovano diffidenze. Vige come una “dietrologia”: pensano che tu abbia voluto attaccare uno piuttosto che un altro per chissà quale misterioso piano. Ma io, ogni giorno, prendo in giro il mondo, a seconda di quello che mi fa ridere. E basta».
E’ in atto una doverosa campagna contro la fake news. Diciamo che anche tu sei vittima, in un certo modo, con il Rompipallone su Facebook...
«E’ vero, il Rompipallone su Facebook nulla ha a che vedere con me; è qualcuno che si è impossessato del nome. Non so che tipo di battute proponga perché non lo guardo. Il Rompipallone che faccio io è solo sulla Gazzetta dello Sport».
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